Recensione Onora il Padre e la Madre

La somma delle mie parti non dà un intero

Recensione Onora il Padre e la Madre
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Ci sono momenti in cui non sai cosa fare. Momenti in cui tutti i tuoi errori ti si avvinghiano addosso, ti tengono stretto e non ti lasciano andare. O forse sei tu a non volerli lasciare andare, perché sono l’unica cosa che hai, l’unica cosa che sei, e il loro abbraccio è rassicurante: sono quelli ad aver fatto di te la persona che sei diventato, ad averti fatto esistere. E non arrivi a pensare che senza di loro forse saresti migliore. Un altro, sicuramente. Però, magari, migliore. E’ sempre difficile rinunciare a se stessi. A se stessi e ai propri difetti fatali: l’arrivismo, la sconsideratezza, l’arrendevolezza, la superbia, l’ipocrisia. E’ più facile continuare così, come si è sempre fatto, ogni volta scendendo un altro gradino, ogni volta più in basso. Ma l’importante, quando non c’è più ritorno, è essere arrivati in paradiso prima che il diavolo venga a sapere che si è morti.

Hank e Andy sono due, spiantati, fratelli. Ma se per il primo, reduce da un matrimonio fallito e con la spada di Damocle degli alimenti per la figlia da affrontare, la cosa è quasi naturale, lo è molto meno nel caso del fratello maggiore, contabile in una florida impresa, fortunato possessore di una splendida casa e di un’avvenente moglie. Ma chiaramente c’è qualcosa sotto: parecchi numeretti fuori posto stanno per far scoprire all’agenzia delle entrate qualche manovra non propriamente lecita, i rapporti con Gina non sono dei più calorosi e, dulcis in fundo, per supplire a tutto ciò non c’è niente di meglio che una massiccia dose di stupefacenti assortiti. Per rimettere le cose più o meno a posto, però, l’industrioso Andy ordirà un piano all’apparenza infallibile e senza alcun rischio per nessuna delle parti: bisognerà rapinare un negozio i cui modi e tempi sono ben conosciuti, ovviamente assicurato, e facendo uso esclusivo di armi giocattolo. Ottenuta, non senza qualche reticenza, la collaborazione del fratellino Hank, Andy dovrà però rivelargli che il bersaglio consiste nientemeno che nella gioielleria dei genitori: a quel punto, nemmeno Hank se la sentirà di compiere l’impresa in prima persona, e deciderà di avvalersi dell’esperienza di un conoscente, tale Bobby, per sbarazzarsi del lavoro sporco. Se tutto andasse secondo le aspettative, eventuali scrupoli morali a parte non ci sarebbe alcuna conseguenza. Peccato però che la coraggiosa, o avventata, Nanette decida di sparare al rapinatore, che a sua volta, ben poco ligio alle istruzioni impartitegli, farà fuoco verso l’anziana signora, riducendola in coma poco prima di tirare le cuoia. Da questa tragica piega della narrazione avranno origine tutta una serie di pesanti ripercussioni: senza contare il senso di colpa dei due fratelli, un ben più tangibile e nerboruto cognato di Bobby pretenderà dai due un "risarcimento danni", mentre il patriarca Charles dovrà affrontare prima il difficile compito di decidere quando e se staccare quella spina che mantiene in vita la moglie, poi il nullo interesse delle forze dell’ordine a fare luce sulla vicenda, che fin dal primo momento gli era apparsa ben più complicata di quanto l’evidenza non facesse supporre. E proprio nel corso delle proprie personali indagini Charles verrà a conoscenza di qualcosa che forse avrebbe preferito non sapere.

Detta così, è già una brutta faccenda, ma come la racconta Sidney Lumet è ancora peggio: catapulta alla prima scena lo spettatore in medias res, e poi lo sballotta avanti e indietro nella vicenda grazie ad un uso serrato ma mai ridondante di flashback e flashforward, ponendo di volta in volta sotto la lente fredda e impietosa dell’obiettivo il punto di vista di un diverso protagonista, ognuno con le proprie inquietudini, le proprie debolezze, i propri fantasmi e demoni interiori. Abbiamo Hank, il fratello giovane e carino, ingenuo e sfortunato, con poco polso forse, ma fondamentalmente un buono; Gina, la moglie bella e insoddisfatta, con un marito non troppo attento e a sua volta non troppo premurosa con l’amante/cognato (e anche in questo caso il povero Hank sembra una marionetta trasportata dal flusso degli eventi, in balia della volontà e dei bisogni altrui, più che un soggetto avente la padronanza delle proprie azioni); Charles, padre e marito distrutto dal dolore, uomo innamorato e disposto a tutto pur di avere la propria vendetta su chi lo ha privato della ragione di vivere; ma soprattutto abbiamo Andy, eroe e contemporaneamente antieroe della tragedia. Facile vederlo come un personaggio negativo tout court, ed innegabilmente uno stinco di santo non è: sembra non provare nessuna incertezza, non attraversare nessun ripensamento nemmeno di fronte alla morte della madre, alla disperazione del padre e del fratello. Tutto nel suo mondo è logico, calcolato, fa capo a un semplice meccanismo di azione e reazione, senza alcuno spazio per la rassegnazione né tantomeno per il pentimento. Eppure Andy è ben lontano dall’essere un personaggio ottuso, bovino, senza alcun mondo interiore: sembra anzi essere l’unico a rendersi conto che, diversamente da quanto accade nei libri contabili, difficilmente nel caso dell’essere umano la somma delle parti dà come risultato l’intero. E’ forse, tra i protagonisti, quello più tristemente vittima e interprete della realtà, profondamente ancorato a un mondo che per primo vorrebbe rifiutare ma i cui mezzi gli sono, ogni giorno di più, necessari, e per questo (auto)condannato ad aggiungere sempre nuovo male, nuovi errori a quelli già commessi, allontanandosi sempre più da una redenzione probabilmente nemmeno voluta. Prova ne è l’intenso colloquio con il padre, illuminante sulla pesante conflittualità che da sempre aveva contraddistinto il loro rapporto, dal quale mai si era sentito amato ma che comunque continua a respingere, per coerenza, paura oppure orgoglio: è proprio attorno a questo snodo che la vicenda avrà il suo apice, in un finale terribile, scioccante, orchestrato con maestria di regia e di sceneggiatura, degna conclusione di una pellicola senza sbavature né incertezze.

Onora il Padre e la Madre Onora il Padre e la Madre è un film duro, cinico, e proprio per questo vero. E’ un film che rende palese come, alla fine, la persona di cui ci importa di più siamo sempre noi stessi, che scardina le fondamenta della rassicurante immagine di famiglia a cui siamo abituati, che ci pone davanti le folli ma inevitabili conseguenze del fare il male; è, insomma, una tragedia greca declinata in chiave moderna. E’ un film che alla ricchezza di contenuti unisce una direzione magistrale, supportata da una sceneggiatura avvincente e resa più dinamica dall’uso sapiente del montaggio. Senza menzionare il cast di ottimo livello, sul quale spicca il bravissimo Philip Seymour Hoffman, fino all’ultimo incerto su quale dei due fratelli avrebbe interpretato: sicuramente il risultato finale non fa rimpiangere l’alternativa. E’ un film in cui ogni elemento è al proprio posto: un evento raro ultimamente, in ragione del quale ne consigliamo vivamente la visione.

8

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