Un'Ombra negli Occhi recensione: un potente dramma storico su Netflix

Un'Ombra negli Occhi, nuovo film di Ole Bornedal pubblicato da Netflix, ripercorre l'Operazione Carthage del 1945 dalla prospettiva dei civili danesi.

Un'Ombra negli Occhi recensione: un potente dramma storico su Netflix
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Il 21 marzo 1945, l'aviazione alleata dà il via all'Operazione Carthage, un bombardamento aereo contro la Shellhus di Copenhagen, dove la Gestapo tiene prigionieri decine di partigiani. Proprio questa vicenda è al centro di Un'Ombra negli Occhi, il nuovo lungometraggio di Ole Bornedal, già noto per aver diretto Il Guardiano di Notte (1994) e il suo remake americano Nightwatch (1997). In maniera inconsueta per un dramma storico, però, l'attacco alla Shellhus viene messo in scena solo negli ultimi minuti della pellicola targata Netflix (non perdetevi i film Netflix di aprile 2022), che concentra tutta la sua lunga prima parte sulla costruzione di un convincente microcosmo che ruota attorno a tre bambini, Henry, Rigmor e Eva.

Proprio questa scelta rende Un'Ombra negli Occhi un war movie atipico, come d'altro canto lo è stata anche la Seconda Guerra Mondiale in Danimarca, Paese conquistato dalla Germania nazista nell'arco di poche ore nel 1940 e liberato dagli Alleati solo nel 1945, dopo una lunga convivenza forzata e mal tollerata con l'occupante tedesco.

Parlare del conflitto senza mostrare la guerra

Proprio a causa della mancanza di eventi bellici di spessore nella storia del secondo conflitto sul fronte scandinavo, il regista Ole Bornedal decide di utilizzare l'attacco alla Shellhus come un mero pretesto narrativo, un evento certo e incombente lungo quasi tutto il film, anticipato fin dai titoli di testa ma secondario nell'economia della produzione.

Esso viene sfruttato come base su cui costruire un ampliamento a dismisura dell'orizzonte narrativo, rendendo Un'Ombra negli Occhi una collezione di storie intrecciate in filoni apparentemente separati ma che si toccano tra loro in continuazione, creando un affresco della vita quotidiana nella Danimarca occupata dal Terzo Reich, concentrato più sulle conseguenze sociali e psicologiche della guerra che sui suoi combattimenti, ai quali sono dedicate pochissime inquadrature, tutte limitate peraltro agli scontri aerei tra la RAF e la Luftwaffe. Sotto questo punto di vista, Un'Ombra negli Occhi è quanto di più lontano dai war movie di Hollywood, adottando anzi delle sensibilità stilistiche e narrative prettamente europee, che lo avvicinano molto più a pellicole come Il Pianista (2002) di Roman Polanski che ad Unbroken (Angelina Jolie, 2014), Fury (David Ayer, 2014) o Dunkirk di Christopher Nolan, del 2017 (se desiderate approfondire potete dare un'occhiata alla nostra recensione di Dunkirk).

Con il lungometraggio di Nolan, semmai, quello di Bornedal condivide una trama complessa e composta da una pluralità di co-protagonisti, che si alternano tra loro al centro dello schermo nel racconto dei giorni precedenti all'Operazione Carthage. Così, la storia si amplia via via sempre di più, includendo un crescente numero di personaggi e di collegamenti, spesso per nulla banali, tra di loro: mentre le prime scene si concentrano sulla figura di Henry, lasciando pensare che egli sia il fulcro del titolo, presto il tenore della produzione cambia, presentando allo spettatore la piccola Eva, il collaborazionista danese Frederik, la studentessa Rigmor e infine Teresa, suora che, di fronte al dolore della guerra mondiale, arriva a mettere in dubbio l'esistenza stessa di Dio e che rappresenta senza alcun dubbio il ruolo più riuscito e profondo di Un'Ombra negli Occhi.

Henry, Eva e Rigmor si muovono in un mondo soffocato da un conflitto sulla via del tramonto: la pellicola è infatti ambientata intorno al 21 marzo 1945, poco più di un mese prima della capitolazione tedesca che pone fine alla Seconda Guerra Mondiale in Europa. Il senso di un'epoca che sta per terminare, di un cambiamento rivoluzionario rispetto ai cinque anni di occupazione e di una palingenesi individuale e collettiva è presente in molti dialoghi, specie in quelli tra i partigiani danesi catturati e i collaborazionisti dell'HIPO.

Ciò non significa la fine dello scontro sia attesa senza timori: al contrario, Un'Ombra negli Occhi racconta di una società pervasa dalla paura di un "colpo di coda" della Germania, che sta stringendo la morsa sulla Resistenza locale e che proprio per questo scatena l'attacco della RAF su Copenhagen. Il bombardamento, momento culminante del senso di oppressione che percorre tutto il film, viene rappresentato da Bornedal in maniera cruda, disillusa, in linea con tutto il resto dell'opera, che porta in scena una società incattivita dal conflitto e dall'occupazione, evidenziata in passaggi come quello in cui Henry viene condotto di fronte ad uno psicologo o quello in cui Greta mette in dubbio d'innanzi ad un gruppo di bambini che Dio si curi degli eventi terreni.

Importanti interrogativi metafisici

Paradossalmente, l'attacco alla Shellhus è la parte meno riuscita di Un'Ombra negli Occhi, che anzi si fa apprezzare maggiormente nelle sue prime inquadrature, realizzate in maniera curatissima e quasi maniacale, riprese con artifici fotografici e movimenti di macchina che testimoniano uno studio approfondito ma limitato ad una manciata di scene, che hanno il compito di fissare l'asticella qualitativa della produzione molto in alto .

Sfortunatamente, però, l'opera non riesce a mantenere un tale livello di qualità della messinscena per tutti i suoi 98 minuti, pur rimanendo sempre gradevole, sia a livello narrativo che in termini di resa delle immagini e dei movimenti di macchina. Semmai, la pellicola di Bornedal si perde proprio sul finale, che, nonostante dovrebbe essere il momento di maggiore tensione attorno al quale è costruita tutta la narrazione, finisce per risultare lento e mal ritmato, annichilendo l'empatia dello spettatore nei confronti dei protagonisti proprio nel momento in cui questa dovrebbe trasformarsi in apprensione per la loro sorte.

Si tratta però di difetti quasi inevitabili trattando un tema così delicato e attuale come quello della guerra, che non si possono necessariamente imputare alla pellicola e che dipendono molto dalla sensibilità e dai gusti dello spettatore. D'altro canto, quello di Bornedal è un lungometraggio impegnativo, che non tenta di nascondersi dietro una patina di leggerezza come, al contrario, farebbe una eventuale controparte americana: Un'Ombra negli Occhi è anzi orgogliosamente una produzione che pone importanti interrogativi metafisici, che mostra una realtà estremamente greve, calcando persino la mano, con precise scelte in termini di trucco, di costumi e di sceneggiatura, sulla portata drammatica degli eventi rievocati.

È proprio per questo che alcuni momenti, come tutta l'apertura della pellicola e le riprese di Henry ed Eva nelle macerie dopo il bombardamento degli Alleati, restano impresse nella mente di ogni spettatore, al di là delle piccole mancanze in termini tecnici e di ritmo, rendendo Un'Ombra negli Occhi uno dei film del catalogo Netflix che meritano davvero di essere visti.

Un'ombra negli occhi Un’Ombra negli Occhi è una piccola sorpresa del catalogo Netflix, un film a metà tra il dramma storico e il war movie, benché dai profondi risvolti simbolici, emozionali e metafisici. Non si tratta certamente di una visione semplice, ma la rievocazione di un evento storico dimenticato e la costruzione di un affresco della società danese dell’occupazione nazista del 1940-1945 rendono l'opera di Bornedal imprescindibile per tutti gli amanti del genere storico. Completano la produzione una profonda riflessione sull’esistenza di Dio; dei personaggi profondi, vivi e tridimensionali; una resa tecnica sempre più che sufficiente e un ritmo che, salvo uno scivolone nel finale, riesce a trattenere lo spettatore di fronte allo schermo senza risultare eccessivamente incalzante o inadeguato.

7.5

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