Recensione Oliver Twist

Polanski adatta per il grande schermo il celebre romanzo di Dickens

Recensione Oliver Twist
INFORMAZIONI FILM
Articolo a cura di

Le versioni cinematografiche (e televisive) che prendono spunto dal celebre romanzo Oliver Twist di Charles Dickens, sono innumerevoli. Si cominciò addirittura nel 1908 con un film inglese diretto da James Stuart Blackton. I più famosi adattamenti sono stati quelli del 1948 con la regia di David Lean; un musical del 1968 a firma Carol Reed, che divenne molto popolare negli anni '60; e la versione "animalesca" della Disney Oliver e Company (1988), dove il protagonista è interpretato da un gatto. Nel 2005 è la volta di Roman Polanski e del suo adattamento cinematografico di Oliver Twist (in onda mercoledì 30 aprile su Iris alle 21:14). Un grande regista sa quando è il momento di rendere visibile la sua mano e quando invece è tempo di tirarla indietro, lasciando che il racconto prenda il sopravvento su tutto. Nel film, Polanski fa proprio questo: riesce ad attenersi al romanzo di Dickens, facendolo scorrere quasi da solo per lunghi tratti, per poi esplodere con delle pennellate e con dei colpi caratterizzanti della sua natura tecnica. Da un colore ad un'inquadratura, da un insignificante dettaglio visivo ad una totale caratterizzazione di un personaggio, il segno distintivo trova poi il suo spazio. E non si tratta di noncuranza o di un mero lasciar andare,  ma di una precisa scelta. In fondo, è regia anche questo. La storia è quella del celebre romanzo dello scrittore inglese, pubblicato nel 1837 e riconosciuto come uno dei primi esempi di "romanzo sociale". Ambientato nell'Inghilterra ottocentesca (qui ricostruita negli studi della Repubblica Ceca), narra le vicende di Oliver Twist, bambino orfano, che per sopravvivere è costretto a passare per diversi affidamenti, tra furti, maltrattamenti, soprusi, fame e talvolta qualche barlume di bontà. Un mondo crudele ed un'infanzia travagliata che probabilmente lo segneranno per sempre. 

Buoni o cattivi?

L'Oliver Twist di Polanski inizia fornendo qualche dettaglio sull'Inghilterra ottocentesca e sulla difficile condizione di vita infantile, specie se orfana, in una società dominata da convenzioni sociali e con una marcata distinzione tra ricchezza e povertà. Uno sguardo d'insieme necessario per calarsi dentro i panni del film. Come detto, è però solo un inizio. Il flusso si infittisce, prende corpo e lo spettatore vive in simbiosi con il protagonista, attraverso le mille peripezie che è costretto ad affrontare. In questa linearità narrativa, lo sguardo spettatoriale procede di pari passo con l'evolversi del racconto.Diventa una storia di umanità e non, dove la lealtà e la bontà d'animo sembrano soppiantate dal tradimento e dalla prevaricazione e gli abusi e le ingiustizie poter avere la meglio su tutto. Più che la narrazione in sé, che nonostante le "tappe" che incontra è meno avvincente di quello che si potrebbe pensare, è la varietà di personaggi con cui Oliver deve confrontarsi che affascina, la forza d'animo che lo caratterizza. Personalità complesse che mettono in risalto come la distinzione pratica ricchi-poveri porta in realtà a conseguenze più grandi dal punto di vista morale e che il binomio ricco-avido, povero-umano non sia per forza rispettato.Il Fagin interpretato da Ben Kingsley ne esce come il meglio costruito, una personalità complessa e difficile da inquadrare. La carta vincente di Polanski, a cui si aggiunge il nome di Ronald Harwood che ha scritto la sceneggiatura, sta proprio in questa ambiguità nella caratterizzazione dei personaggi, che non hanno una faccia statica, ma sono ricchi di sfumature, difficili da giudicare anche per i personaggi stessi. Etichette come "buono", "cattivo", "amico", "nemico" sono da utilizzare con molta delicatezza.Dal lato tecnico, la fotografia di Pawet Edelman è assolutamente funzionale, oltre che molto curata. Le speranze del protagonista, alla pari con i suoi momenti cupi, vengono sempre accentuati da sfumature cromatiche rilevanti. Edelman aveva del resto già lavorato con Polanski ne Il Pianista e continuerà la collaborazione più avanti con L'uomo nell'ombra e in Carnage. Il mondo che ne esce è crudo e violento, dove si vive di speranze e bisogna farsi guidare necessariamente dal proprio coraggio e dalla forza d'animo. Ma è anche un mondo dove il cerchio prima o poi si chiuderà e metterà fine alle numerose ingiustizie, talvolta con prezzi da pagare. Senza il pericolo di spoiler, le scene finali sono le più belle del film, da tutti i punti di vista.La pellicola si inceppa quando Oliver, che resta ovviamente il protagonista indiscusso, tende un po' ad uscire di scena. Si perde allora quell'atmosfera quasi magica che gli ruota intorno e se ne sente la mancanza. C'è ancora spazio per un capitolo più avvincente, ma che ha perso il suo pezzo principale. 

Oliver Twist Oliver Twist alterna momenti riusciti ad altri sottotono, ma si configura come una storia costruita con cognizione di causa, che sa essere drammatica e talvolta spietata. Conquista le sue vittorie maggiori nell'ambigua caratterizzazione dei personaggi, in un'affascinante fotografia e nelle sequenze finali, bellissime.

7

Che voto dai a: Oliver Twist

Media Voto Utenti
Voti: 4
7
nd