Quello sguardo sornione di Hugh Grant ha fatto innamorare milioni di fan in tutto il mondo, e come dimenticare l'iconico sorriso di una Julia Roberts che non era a suo agio in un ruolo leggero dai tempi di Pretty Woman? Sul finire dello scorso secolo gli spettatori di tutto il mondo vennero conquistati da uno dei cult romantici più memorabili degli anni Novanta, facente sì forza sul carisma e il fascino dei due complementari protagonisti ma anche su un raro equilibrio tra ironia e sentimenti che rapisce sin dai primissimi minuti.
D'altronde un film come Notting Hill nasceva già sotto i migliori auspici, e non soltanto per la presenza delle due star. In fase di sceneggiatura troviamo infatti l'affilata penna di Richard Curtis, proprio uno degli artefici dietro al grande successo di Quattro matrimoni e un funerale (1994) - che qualche anno prima lanciò appunto l'attore britannico - il quale è riuscito a trovare la giusta simbiosi tra i toni narrativi, trasformando una situazione chiave apparentemente banale in una love-story ricca di contraddizioni e sfumature, che lascia con il fiato sospeso e le aspettative in crescendo fino a quella domanda finale che ci accompagna verso il solo epilogo possibile.
Notting Hill: in ricchezza e in povertà
Poteva infatti finire soltanto in tal modo la storia d'amore tra due figure agli antipodi, incarnazioni di altrettanti archetipi che si trovano ad innamorarsi contro tutto e tutti. Lei un'attrice hollywoodiana pagata quindici milioni di dollari a film, lui un tranquillo libraio reduce da un burrascoso divorzio. E quel quartiere londinese che dà il titolo all'operazione quale sfondo ideale, con il suo tram tram quotidiano - background d'ordinanza incluso nei voice-over - ad accompagnarci in questo appassionante tira e molla tra Anna e William.

Una stella del cinema che entra in una libreria come tante, quella scintilla che scocca grazie a un succo d'arancia rovesciato, all'insegna dell'imprevedibilità di un destino che dopo quell'incontro fortuito ma illuminante continua a porre ostacoli su ostacoli ai due "prescelti". Dal fidanzato famoso ritornato all'improvviso alla morbosità dei giornalisti e dello star system, dai set guastafeste a risposte inappropriate, Anna e William devono sudare sette camicie per poter finalmente stare insieme e coronare nel migliore dei modi questa fiaba moderna che annulla le differenze sociali all'insegna di una lotta di classe anacronistica, in un mondo dove "una ragazza è semplicemente una ragazza", nonostante il successo planetario.
Un contorno ricco
Le due ore di visione vivono di contorni suggestivi e proprio la fondamentale presenza dei personaggi secondari rende ancora più vivo e vivido il cuore emotivo del racconto: la cerchia di amici di William - tra segreti nel passato, tragedie recenti e felicità in divenire - è infatti elemento necessario, quando non fondamentale, ad ogni singolo evento, come dimostra anche il tour de force conclusivo con quella folle e disperata corsa in macchina dove ognuna delle rispettive personalità viene nuovamente in gioco.
Così come nel già citato Quattro matrimoni e un funerale - la nostra recensione di Quattro matrimoni e un funerale è a portata di clic - ancora una volta la scrittura di Curtis mette al centro il gruppo, con il tema dell'amicizia che va di pari passo con quello idillico della coppia a venire. Ma Notting Hill - del quale vi parliamo in concomitanza con la trasmissione televisiva, stasera alle 21.05 su Twenty Seven - vive anche su quel magistrale humour inglese che trova in Hugh Grant l'ariete di sfondamento perfetto: l'interprete britannico, recentemente al centro dell'attenzione mediatica per via della sua particolare intervista agli ultimi Oscar, sfodera infatti una serie di battute sardoniche con il suo tipico aplomb e indossa magnificamente il suo alter-ego, addolcendo spesso il proprio sguardo quando ammaliato da una Julia Roberts più radiosa che mai. L'incredibile alchimia tra loro è ovviamente tra i principali punti di forza dell'operazione, la quale può anche contare ad ogni modo su una verve comica a tratti esilarante nelle numerose gag che caratterizzano soprattutto la prima metà.
Dal coinquilino iconoclasta, bizzarro e fuori di testa, di un divertito Rhys Ifans che funziona quale ideale spalla demenzial/consigliera alla lunga scena della interviste riservate alla stampa dove il protagonista si improvvisa giornalista di una rivista sui cavalli fino alle ripetute battute sul fondoschiena di Mel Gibson, i dialoghi sono affilati al punto giusto e fanno da adeguato contraltare a quella gradevole retorica romantica che esplode altresì in numerose sequenze, restituendo al grande pubblico quella voglia di sognare ad occhi aperti e commuoversi spudoratamente, senza vergogna alcuna. Facile perciò perdonare anche qualche lieve calo di ritmo nella seconda parte, fino a quei venti minuti finali che portano lo spettatore a immedesimarsi con William e a correre forsennatamente insieme a lui in attesa di porre quella fatidica domanda, aperta ad un'unica risposta.