Non ci resta che il crimine, recensione: il mix che funziona

Nelle sale la nuova pellicola di Massimiliano Bruno che mescola i generi e viaggia nel tempo con un cast in ottima forma.

Non ci resta che il crimine, recensione: il mix che funziona
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Roma, estate 1982. Le strade sono piene di persone euforiche, si festeggia una delle vittorie dell'Italia di Bearzot, che di lì a qualche giorno diventerà per la terza volta campione del mondo. Gli amici d'infanzia Sebastiano (Alessandro Gassmann), Moreno (Marco Giallini) e Giuseppe (Gianmarco Tognazzi) osservano la situazione, stupiti. Loro tutto questo l'hanno già vissuto, più di trent'anni addietro, e faticano a credere ai loro occhi.
Massimiliano Bruno torna dietro la macchina da presa a poco più di un anno dalla sua ultima incursione, Beata ignoranza, sempre con Gassmann e Giallini nel cast. Dagli esordi come attore e sceneggiatore, nel 2011 Bruno si è allargato alla regia, esordendo con la commedia Nessuno mi può giudicare.
Una lista di titoli da regista alquanto prolifica, che Bruno arricchisce con pellicole che spesso celano le proprie potenzialità, seppur difficilmente riescano a convincere in toto. Non ci resta che il crimine sembra qualcosa di differente, un prodotto "atipico" come lo definisce lo stesso regista, del resto di generi nel film se ne vedono diversi.

Eravamo quattro amici in tour

Sebastiano, Moreno e Giuseppe organizzano spesso un bizzarro e improvvisato tour turistico per le zone di Roma legate ad eventi criminali. L'idea è di Moreno, il leader del gruppo, incallito nullafacente ma sempre pronto a trascinare i due compari - il sempliciotto Sebastiano e il vile Giuseppe - nelle sue strampalate idee con l'obiettivo di fare tanti soldi.
Un giorno, dal passato, ritorna Gianfranco, un ex compagno di scuola col quale nessuno dei tre andava particolarmente d'accordo, nel frattempo diventato un ricco imprenditore grazie a una redditizia start-up.
Nel tentare di seminare l'irriverente Gianfranco nel corso del tour, passando dal retro di un bar, i tre amici finiscono per ritrovarsi in un altro locale. Ma dal 2018 sono passati al 1982. Da quel momento il gruppo di amici affronta una miriade di peripezie, convinti da Moreno, sicuro di poter diventare ricco facendo fruttare le conoscenze accumulate nei decenni che loro hanno già vissuto. I problemi nascono quando s'imbattono in Renatino (Edoardo Leo), uno dei boss più rispettati dell'epoca, e con la sua seducente fidanzata (Ilenia Pastorelli).

Intrattenere osando

Uscendo dal terreno della commedia, che forse dopo il successo dell'esordio non aveva portato a un'evoluzione convincente, Massimiliano Bruno questa volta azzarda con un materiale affascinante ma potenzialmente rischioso. Non ci resta che il crimine sembra saltare dall'azione alla comedy, mescolando il fantasy allo stile dei polizieschi anni '70, con un tono farsesco che esplicitamente omaggia quel Non ci resta che piangere che nel 1984 unì la comicità di Benigni con quella di Troisi.
Grazie a una fotografia in grado di mixare tonalità comuni nel cinema dell'epoca e un citazionismo nostalgico, sincero e quasi mai forzato, otteniamo un film scorrevole, che diverte e intrattiene soprattutto grazie a un copione che, al netto di passaggi grossolani e piuttosto frettolosi, sorprende. Alcuni snodi narrativi non convincono appieno ma nel complesso i tempi comici funzionano e i passaggi a vuoto latitano. Divertenti e funzionali i riferimenti al mondo della criminalità romana dell'epoca, declinati in salsa grottesca.

Dal Renatino al Sorcio

I riferimenti alla Banda della Magliana sono evidenti sin dall'inizio, tanto che Moreno conosce ogni singolo dettaglio della storia della famosa gang criminale.
Lo stesso antagonista del film, un sorprendente Edoardo Leo nell'inedita veste di cattivo, è chiamato con l'appellativo di Renatino, soprannome di uno dei boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis.
Altri membri compaiono in vari spezzoni della narrazione, tra cui il Sorcio, protagonista di una sequenza tanto esilarante quanto drammatica, che sottolinea il lato grottesco della pellicola.
Un plauso particolare va fatto al cast, in grande spolvero e in ruoli alquanto insoliti per quasi tutti i componenti. Se Giallini e Pastorelli interpretano personaggi già nelle loro corde, una nota di merito è doverosa per Alessandro Gassmann, che per una volta sveste i panni del bello e tenebroso e diventa un impacciato, ingenuo e integerrimo marito, e Gianmarco Tognazzi, a cui è stato probabilmente assegnato il ruolo migliore: dal codardo del gruppo, Giuseppe si trasforma nell'anima del film, capace di prendere in mano la propria e vita e cambiarla radicalmente.
A questo aggiungete scene esilaranti, con i Kiss coinvolti in una rapina, e scoprirete che il mix di Massimiliano Bruno, nonostante certi limiti, questa volta è davvero convincente.

Non ci resta che il crimine Dopo varie commedie non del tutto convincenti, Massimiliano Bruno cambia registro e azzarda, mescolando i generi, passando dalla comedy all'azione fino al fantasy con un tocco di nostalgia anni '80. A parte qualche passaggio non troppo convincente, Non ci resta che il crimine intrattiene con una buona dose di comicità grottesca e un cast decisamente in parte. Prova del tutto superata, questa volta.

6.5

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