Recensione Non me lo dire

Vito Cea e la dura vita del comico (pugliese)

Recensione Non me lo dire
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Da un bel po' di tempo il cinema italiano sembra fatichi a uscire dal circolo vizioso della commedia leggera intrisa di ironia, buoni sentimenti e un'adeguata dose di equivoci nazional-popolari. Infatti, pescando a più mani nel calderone degli stereotipi italiani legati alle peculiarità socio-geografiche della nostra penisola, questo filone a struttura circolare di "ironia chiavi in mano" ha vissuto negli ultimi anni una crescita esponenziale in termini di successo, creando d'altro canto anche una sorta di inflazionamento tematico e strutturale che ha prosciugato d'originalità e di spunti interessanti un'ampia fetta delle produzioni nostrane. Non me lo dire di Vito Cea non fa certo eccezione, interamente poggiato sul tessuto narrativo di un provincialismo (questa volta tutto pugliese) radicato nelle sbavature di un linguaggio e di un comportamento marcatamente sopra le righe e nella comicità che da questo scaturisce. Nonostante ciò, la commedia on the road e in parte biografica (Uccio, come il protagonista Lello, nasce comico) di Vito Cea può vantare nella sua estrema semplicità (e nella sua congrua dose di retorica) narrativa, un uso sobriamente sopra la media dell'ironia nella costruzione dei dialoghi e dei tic appartenenti al protagonista Lello (Uccio De Santis), ma soprattutto alle sue due spalle filmiche Volume (il bravo caratterista Nando Paone) e Salvavita (Umberto Sardella).

Non me lo dire

Lello Murgese è un affermato comico del varietà, apprezzato e gratificato dalla costante affluenza che i suoi spettacoli sembrano generare. Prova della sua fama è la naturalezza con la quale la gente oramai associa il suo volto alla risata, pronta a ridere del suo cavallo di battaglia "Non me lo dire", così come di qualsiasi altro racconto che esca dalla sua bocca. Troppo rapito dal suo lavoro per accorgersi delle insofferenze della moglie Silvia (Mia Benedetta), il comico pugliese scoprirà di averla trascurata solo quando, di ritorno a casa, troverà un biglietto in cui sono elencate le ragioni per cui lei ha deciso, irrevocabilmente, di lasciarlo. Il duro colpo subito nella sfera emotiva lo farà traballare anche in campo lavorativo, che d'un tratto perderà ai suoi occhi tutto il suo appeal. Svuotato di energie e di senso, Lello si rivolgerà dunque a uno psicanalista sopra le righe che gli ‘imporrà' come cura, un tour sulle tracce dei suoi (fino ad allora ignorati) fan. Un percorso (fisico e mentale) che dovrebbe aiutarlo a ritrovare sé stesso e (forse) l'amore della moglie. Ma il viaggio nel folcloristico mondo dei ‘fans' pugliesi sarà tutt'altro che roseo. Tra ammiratori inviperiti e funerali imprevisti, Lello farà alla fine la conoscenza della bella Rossella (una poco convincente Aylin Prandi), una giovane ragazza determinata a fare spettacolo che metterà in discussione l'amore di Lello per Silvia ma contribuirà, infine, a fare chiarezza nella sua vita. Pur non brillando di originalità e succube di un sentimentalismo stereotipato incapace di affondare la penna oltre la superficie di una crisi d'identità risolta in maniera sempre troppo spiccia, Non me lo dire sfrutta il tema dell'artista in crisi per celebrare il viaggio all'interno di un essere pugliesi che sottende una semplicità esistenziale e un attaccamento a valori solidi (come il lavoro della terra) e a un principio di aggregazione (il folclorismo tipico di feste e funerali) che sono legati dalla voglia di sorridere. Infatti più che nella cornice narrativa (debole e troppo banale) Non me lo dire trova la sua marcia nell'affiatato trio di protagonisti e nel loro relazionarsi (rocambolescamente) con una comunità contadina ironicamente rappresentata dai propri paradossi.

Non me lo dire Costruita sulla falsa riga delle commedie italiane di questi ultimi anni, Non me lo dire si distingue per l’uso mai sboccato del linguaggio e per la volontà di dipingere con meno approssimazione (riuscendovi solo in piccola parte) le peculiarità di un sud che da massa indistinta assume le caratteristiche più precise della campagna pugliese fatta di luci intense, distese di oliveti e contadini dalla parlata incomprensibile. E nonostante a conti fatti il lavoro di approfondimento non risulti comunque particolarmente riuscito, la commedia di Vito Cea sfila via leggera tra qualche risata e una fugace incursione nel temibile sentiero della riflessione.

6

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