Recensione Nome in codice: Nina

Riscopriamo insieme il poco ispirato remake hollywoodiano del bessoniano Nikita firmato da John Badham, una fotocopia mal riuscita dell'originale con protagonista un'insipida Bridget Fonda.

Recensione Nome in codice: Nina
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Che il Nikita di Luc Besson abbia segnato una svolta nel mondo degli action movie è più che un dato di fatto. Al contempo però il successo della pellicola francese ha spinto i produttori hollywoodiani a cercare di "familiarizzarne" le atmosfere dark e malinconiche del titolo originale per il grande pubblico americano. Esce così nel 1993 Nome in codice: Nina, remake fotocopia diretto dall'abbonato ai cult John Badham (La febbre del sabato sera, Wargames, Corto circuito) e interpretato dalla figlia e nipote d'arte Bridget Fonda, già conosciuta per le sue partecipazioni a Il padrino - Parte III e L'armata delle tenebre. Ad accompagnarla, nei ruoli che furono rispettivamente di Tchéky Karyo, Jean Reno e Jeanne Moureau, due nomi di prima grandezza come Gabriel Byrne e Harvey Keitel e una leggenda della New Hollywood quale Anne Bancroft.

Bella e letale

In Nome in codice: Nina la giovane Maggie Hayward è una tossicomane che partecipa ad una rapina insieme ad alcuni amici. Ma il colpo va a male, i suoi compagni perdono la vita e la ragazza, sotto l'effetto delle droghe, uccide a sangue freddo un agente di polizia giunto in suo soccorso. Condannata alla pena di morte, Maggie viene però presa in consegna dai servizi segreti che, dopo aver organizzato il suo finto funerale, le propongono un "accordo": essere giustiziata per davvero oppure diventare una killer professionista per il governo. Dopo un'iniziale resistenza, sotto la tutela dell'agente Bob la giovane diventa ben presto il perfetto prototipo dell'assassina, eseguendo il suo primo incarico nel migliore dei modi. Questo le consente di ottenere la libertà e ricevere il nome in codice di Nina, a patto però di farsi trovare sempre pronta per missioni da sicaria. La sua doppia vita mette inevitabilmente a rischio la relazione di Maggie con J.P., un ragazzo conosciuto al supermercato con il quale è stato amore a prima vista.

Déjà vu

Se prendete una qualsiasi sinossi di Nikita e sostituite i nomi dei personaggi con quelli di questo remake, vi troverete dinanzi ad una trama pressoché identica a quella di Nome in codice: Nina. Tolta infatti la mezzora finale, che varia in parte alcuni risvolti di trama inerenti l'entrata in scena del "pulitore" (un Keitel sottotono, con una caratterizzazione assai meno riuscita dell'omologo di Jean Reno), la prima ora di visione ripercorre per filo e per segno la trama del titolo di Besson, arrivando in alcuni casi anche a clonare in inglese i dialoghi originali. Una totale mancanza di originalità narrativa che avrebbe potuto passare in secondo piano di fronte ad una realizzazione d'eccellenza: purtroppo però la regia di Badham è scialba e anonima, impegnata in una costante ricerca di ricreare le atmosfere di partenza senza mai arrivare al cuore della vicenda. Una colpa da dividere con l'interpretazione di Bridget Fonda, bella sì ma priva del fascino selvaggio e malinconico della Parillaud e incapace di infondere una credibilità drammatica alla protagonista. La cura dei rapporti interpersonali fra i vari personaggi risulta svuotata dell'intensità necessaria atta a condurre lo spettatore ad empatizzarvi, e le sequenze d'azione appaiono vincolate e banali (vedasi la fine del cleaner), così come il forzato finale, totalmente scevro di emozioni. Come spesso accade i rifacimenti degni di nota sono consoni solo ai maestri (un nome su tutti, Michael Haneke, autore di entrambe le versioni del suo Funny Games) e Badham, nonostante una carriera di non poco conto, non può fare più di un misero compitino su misura.

Nome in codice: Nina Nome in codice: Nina perde il confronto con l'originale su ogni fronte. Nella sua ricerca compulsiva di fotocopiare la narrazione dell'originale Badham dirige un action-thriller come tanti, banale e privo di emozioni, affidando tutto o quasi a una Jane Fonda poco adatta al tormentato ruolo della protagonista. E non basta una mezzora finale leggermente diversa dal film di partenza a giustificarne la visione.

5

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