Recensione Nina

Elisa Fuksas dirige la sua opera prima, densa di estetica e architettura.

Recensione Nina
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In una tipica estate romana fatta di strade deserte e silenzi surreali, Nina (Diane Fleri) si trasferisce all'Eur, in casa dei genitori di un suo caro amico per prendersi cura di Omero, il cane depresso, del porcellino d'India Armando e di un bellissimo acquario di pesci. Una volta varcata la soglia dell'abitazione (dall'arredamento sobrio e aristocratico), la stagione estiva di Nina muterà in una sorta di realtà magica in cui i profili di altre esistenze cominceranno ad apparire e sparire al suo sguardo. Divisa tra le lezioni che prende dal sinologo professor De Luca (un eccentrico studioso della civiltà cinese interpretato dal vulcanico Ernesto Mahieux) e quelle che dà di canto ad allievi più o meno improvvisati, l'estate di Nina sarà dunque un lento incedere nella "a-specificità" della sua vita, ancora ben lontana dal comprendere la direzione o le direzioni da prendere. E nel suo galleggiare impercettibile attraverso un'esistenza fatta di piccoli frammenti, la giovane donna sperimenterà il vuoto materiale generato dalla stagione delle ferie per indagare il suo vuoto esistenziale (generato dal caos generazionale o forse più semplicemente dal caso). Nella solitudine delle sue giornate vestite sempre degli stessi abiti, solo la presenza di Ettore (piccolo inquilino del palazzo conosciuto per caso sul tetto dello stabile) riuscirà a smuovere in qualche modo il pensiero di Nina e a inchiodarla, con incalzanti domande, alla sua solitudine. Una solitudine alimentata dalle torte mangiate per intero con la speranza di colmare un vuoto sempre presente e mimetizzata tra i colonnati di un Eur (tras)figurato nella fisionomia di una città fantasma. Lontana dalle cose così come dalle persone, la vita di Nina appare dunque sospesa e incompresa come quei palazzoni bianchi in cui ci si può trovare, ma è (in fin dei conti) molto più facile perdersi.

La fragile architettura della vita

Il retaggio familiare (figlia del celebre architetto) e accademico (laurea in architettura) di Elisa Fuksas di certo hanno un peso preponderante in questa sua opera prima che poggia interamente sull'architettura urbanistica dei luoghi, usati e sfruttati al fine di specchiare il senso di confusione e spaesamento della protagonista Nina. Nel tentativo di inquadrare una generazione (quella di Nina, appunto, trentenne figlia degli anni '80 esattamente come la regista Fuksas e chi scrive) la regista sceglie di muovere la sua protagonista in un circolo vizioso di azioni che si vanno ripetendo e che trovano nella staticità dei luoghi degli interlocutori funzionali e altrettanto immobili. Se da una parte l'imprinting estetico/visivo che assumono gli spazi dimostra una sensibilità artistica non indifferente, la stessa connotazione estetica del film a lungo andare ingloba e fagocita le intenzioni (e intuizioni) prettamente narrative. La storia-non storia di una vita in pieno limbo esistenziale è infatti inghiottita dall'armonica geometria dei luoghi che attraversa, di cui anche gli altri personaggi sembrano far parte, mentre tutte le azioni nascono e muoiono da una pulizia visiva che scarnifica il film di ogni contenuto, lasciandolo levitare in una mera sospensione stilistica. L'impressione finale è che la regista non sia stata in grado di bilanciare la sua vocazione estetica con l'interesse per l'opera filmica, lasciando che la prima superasse di gran lunga la seconda. Rimane comunque interessante il lavoro sul dualismo che la Fuksas prova a mettere in campo, lasciando intravedere anche qualche interessante potenzialità. Chissà che al secondo tentativo la regista non riesca a bilanciare meglio le due forme d'arte e a stupirci con qualcosa di interessante e anche (tutto sommato) originale nel panorama cinematografico italiano.

Nina Elisa Fuksas (figlia del celebre Massimiliano) fa il suo esordio alla regia con Nina, storia di una trentenne inchiodata a un’esistenza senza forma. L’opera prima si rivela ricchissima di spunti estetici, costruita però con un’attenzione così maniacale all’inquadratura e all’impostazione visiva da perdere (quasi totalmente) di vista l’arco narrativo del film. Sbilanciata e poco capace di veicolare un significato altro che non sia estetico, Nina è un’opera poco riuscita che, nonostante tutto, mostra l’interesse della Fuksas per la commistione e sperimentazione artistica. Un’idea tutto sommato interessante che può dare i suoi risultati se gestita in futuro con maggiore equilibrio.

5.5

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