Recensione Nessuno si salva da solo

Castellitto dirige un melò esistenzialista che non riesce a esprimere al meglio il male di vivere di cui si fa portavoce

Recensione Nessuno si salva da solo
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Delia (Jasmine Trinca) e Gaetano (Riccardo Scamarcio) sono due ‘giovani' sulla trentina che hanno già due figli (Cosmo e Nico) e una relazione naufragata alle spalle. Il momento di una cena, nata per affrontare le classiche questioni contingenti di due separati - come ad esempio gestire le vacanze estive dei figli, diventerà per loro qualcosa di molto più ampio, profondo. Un momento catartico per sviscerare genesi e morte di un sentimento amoroso che li aveva portati - fino a un certo punto - in salvo, lontano dai dolori dell'anoressia, di una famiglia mancante o di una blandamente opprimente. Di fronte a un tavolo al lume di una candela ormai evanescente, Delia e Gaetano affronteranno dunque la transizione dalla gioia al dolore, indagheranno la fine per restituire senso all'inizio in un duetto di cuori infranti sempre più lontani eppure in qualche modo più vicini, entrambi più consapevoli che infine Nessuno si salva da solo. Una sorta di notte dei miracoli in cui fare miracolosamente luce sull'oscurità di un fallimento ancora non metabolizzato e che brucia ora dentro con irriducibile vigore e sarà propedeutica per proseguire con maggiore consapevolezza il cammino della vita.


...in mezzo a questo mare

Siamo a tre. Tre sono infatti - a oggi - i lungometraggi realizzati come trasposizioni di romanzi della scrittrice Margaret Mazzantini e diretti dal compagno d'arte e di vita Sergio Castellitto, attore (prima ancora che regista) di un certo ‘peso' del nostro panorama cinematografico nazionale (ricordiamo tra gli altri La famiglia di Scola, L'uomo delle stelle di Tornatore, L'ora di religione o Il regista di matrimoni di Bellocchio). Ma giunti al terzo prodotto di questo sodalizio, il trend sembra delineare tutte le caratteristiche di un 'modello artistico' dagli esiti altalenanti. Se in Non ti muovere del 2004 veniva infatti fuori la profondità di un dramma umano centrato e coinvolgente (grazie anche alla presenza come protagonista assoluta di un'attrice drammaturgicamente imponente come Penelope Cruz che lì duettava assieme allo stesso Castellitto), già in Venuto al mondo del 2012 si intravedevano i limiti di una trasposizione dal testo scritto al mezzo audiovisivo che in Nessuno si salva da solo sono più che mai evidenti. Fuoco dell'opera che è poi fuoco del romanzo su cui si basa il film è la spinta, la tensione dell'essere umano a trovare il proprio completamento nell'altro, che sia esso inteso come una persona ‘speciale' con cui condividere gioie e dolori o più in generale come la totalità di esseri umani con i quali lungo il nostro cammino, ci ritroviamo a condividere frammenti o parti più significative della nostra esistenza. Insomma la vecchia idea di fare fronte comune per poter affrontare le sfide, smussare le proprie debolezze e alimentare i propri talenti. Nel trattare questo tema, Nessuno si salva da solo pone dunque sotto la lente d'ingrandimento tutti i nodi, le difficoltà del vivere contemporaneo (i disturbi alimentari patologia del nuovo secolo, la poca perseveranza di coppia dei tempi moderni, le varie precarietà lavorative ed esistenziali che affliggono le nuove generazioni) cercando di affrontarle, smuoverle attraverso l'incontro scontro di una giovane coppia già al bivio, oppressa dal dolore della rottura, e nostalgicamente aggrappata al proprio tempo dell'amore. E a guardare bene c'erano in effetti molti elementi nell'opera per approfondire delle tematiche universali che possono (all'occorrenza) fare del caso specifico, di una storia particolare il loro funzionale mezzo d'esplorazione. Ma il film diretto da Castellitto galleggia - suo malgrado - su un ristagno di superficialità che non permette alla storia di affondare a pieni polmoni nel suo dolore per poi riemergere da quella sorta di catarsi che il finale (forse una delle scene più riuscite del film sulle struggenti note di La sera dei miracoli di Lucio Dalla, da cui s'intuisce anche come un lavoro in sottrazione avrebbe giovato al lirismo - imploso - del film) tiene a raccontarci. Lo sviluppo narrativo è così ridotto all'immagine di una cena che sarà resa dei conti, luogo simbolico per nutrire quei corpi realmente e simbolicamente affamati d'amore, banco di prova e di ri-autoaffermazione di due giovani vite poste di fronte al loro fallimento amoroso e genitoriale. Uno spazio in ogni caso troppo piccolo, angusto, all'interno del quale non ci sono tempi e mezzi per metabolizzare tutte le variabili e le dietrologie di una coppia - infine come tante - alla deriva. Uno spazio in cui anche gli attori sembrano in più di un occasione naufragare invece che (ri)emergere.

Nessuno si salva da solo Il duo Mazzantini-Castellitto porta al cinema il terzo prodotto di questa oramai solida coppia umana e artistica. Nessuno si salva da solo brucia però la profondità di una ricerca esistenziale accoccolandosi in uno spazio insufficiente che non si smarca mai del tutto dalla propria superficialità. Di conseguenza ai protagonisti (Riccardo Scamarcio e Jasmine Trinca) è chiesto di sfiorare una profondità drammaturgica che la storia non riesce a creare, costringendoli in più di un caso nell’angolo di una sovraesposizione recitativa che evidenzia (anziché sminuire) molti dei limiti interpretativi e dell’opera. Davvero un peccato per un titolo così bello capace di veicolare numerose riflessioni, e che racchiudeva senza dubbio in sé anche un grande potenziale.

5

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