Moonlight: la recensione

L'opera seconda di Barry Jenkins, già presentata a Toronto, corre verso l'Oscar. La recensione di Moonlight, da oggi al cinema.

Moonlight: la recensione
Articolo a cura di

"Dolorosamente romantico e insolitamente saggio", ha scritto Justin Chang del Los Angeles Times dopo aver visto Moonlight al Festival di Toronto, dove il secondo lungometraggio di Barry Jenkins, già autore di Medicine for Melancholy nel 2008, è stato presentato in pompa magna dopo una prima proiezione a Telluride. La kermesse canadese ha inaugurato un percorso festivaliero prestigioso in vista di una possibile presenza forte ai prossimi Academy Awards, un percorso che, dopo New York e Londra, ha coinvolto anche l'Italia, per l'esattezza la Festa di Roma. E sebbene Moonlight possa sembrare una scelta un po' sottotono per inaugurare la manifestazione romana, per l'assenza di vere star nel cast per arricchire il red carpet e per un endorsement mediatico inferiore rispetto ad un altro titolo forte in programma come The Birth of a Nation, è lodevole la decisione presa lo scorso ottobre di aprire ufficialmente le danze con una storia umana e commovente, ben gestita da un regista in continua crescita artistica.

Dramma in tre atti

Per la storia di Chiron, giovane afro-americano soprannominato prima Little e poi Black, Jenkins opta per una struttura letteralmente tripartita, raccontando tre periodi della vita del ragazzo, cresciuto in condizioni non facili e in qualche modo destinato a vivere una vita non proprio onesta. Con un tocco delicato, a tratti poetico (il titolo si riferisce a un aneddoto raccontato da Juan, figura "paterna" presente nel primo capitolo), il regista segue il suo protagonista attraverso tre fasi di vita e altrettanti interpreti - Jaden Piner nell'infanzia, Jharrel Jerome nell'adolescenza e André Holland (visto in The Knick) nell'età adulta - per costruire un Bildungsroman in salsa black che segue strade familiari ma con un'onestà emotiva che va dritta al cuore. Verosimile (soprattutto a livello linguistico, anche se i sottotitoli non rendono l'idea) e al contempo velatamente onirico, Moonlight è quindi quel tipo di cinema piccolo capace di grandi cose, uno spaccato sociale che mostra una realtà ben precisa ma va oltre la fruizione da parte di una sola fascia di pubblico. Colpisce soprattutto la magnifica tripla performance centrale, abilmente supportata da due comprimari di lusso come Naomie Harris e Mahershala Ali (le serie tv House of Cards, Luke Cage) e destinata a far parlare di sé durante la stagione dei premi. Ma a farla da padrone è anche un altro personaggio fondamentale, la città di Miami, qui mostrata - a volte letteralmente - sotto una nuova luce, lontana dagli eccessi colorati di Scarface o dalla freddezza clinica del televisivo Nip/Tuck. Tutto questo al servizio di un sorprendente, tenero e straziante romanzo di formazione che conferma la vitalità del nuovo cinema afroamericano.

Moonlight Servendosi in modo quasi magistrale delle location e di un cast al massimo della forma, Barry Jenkins firma un’opera seconda intensa e viscerale, che colpisce e sorprende dalla prima all’ultima inquadratura. Uno sguardo sincero, duro ma anche pieno di speranza su una realtà spesso trascurata o edulcorata sul grande schermo.

8.5

Che voto dai a: Moonlight

Media Voto Utenti
Voti: 13
7.2
nd