E’ certamente il film francese più atteso dell’anno Mood Indigo - La schiuma dei giorni. Perché segna di fatto il ritorno di Michel Gondry dopo il disorientante esperimento hollywoodiano The Green Hornet e il poco conosciuto e indipendentissimo The We and the I, passato rapidamente a Cannes dove ha aperto la Semaine de la critique 2012. Ma anche e soprattutto perché tratto dal popolare romanzo di Boris Vian del 1947 - da noi arriverà solo nel ’65 - che Oltralpe è un vero e proprio culto, usato anche come lettura fondamentale di narrativa nelle scuole, alla stregua degli scritti di Cesare Pavese o Italo Calvino nel nostro paese. Un romanzo da molti considerato ‘infilmabile’, a causa della sua complessità linguistica, basata su neologismi, giochi di parole, metafore e sensazioni, che non solo ha reso impossibile la vita dei traduttori che nel corso degli anni si sono trovati a doversi cimentare con la trasposizione dell’opera (venduta in tutto il mondo) in altre lingue, ma anche degli avventurieri che hanno tentato di tradurla per il grande schermo, come fece Charles Belmont, nel 1968, con successo scarsissimo.
Fantasmagorie letterarie
Non è toccato destino migliore alla più recente versione giapponese (2001), di Go Riju, intitolata Kuroe (traslitterazione di Chloé, il nome della protagonista) che si trovava oltretutto a dover adattare la trama a un contesto orientale, eliminando o distorcendo una serie di elementi integrati al plot che si riferiscono in maniera più o meno diretta alla cultura europea degli anni ’40, come la presenza del filosofo esistenzialista Jean-Sol Partre, evidente parodia di Jean-Paul Sartre. Insomma, La schiuma dei giorni è materia che va trattata con gran delicatezza: i personaggi vivono in un mondo di situazioni assurde e surreali - tra pianoforti che realizzano cocktail, armi che per funzionare devono essere covate con calore umano, citofoni-insetto, topini razionalizzanti e palpebre tagliate di netto per ‘aggiungere mistero al proprio sguardo’ - eppure emotivamente parlando non c’è niente di più vicino alla vita reale di questa storia che alterna momenti di devastante tristezza a sprazzi violenti di allegria e gioia di esistere. A oggi, effettivamente, non viene in mente regista più adatto di Gondry per riprodurre visivamente questo genere di fantasmagorie, specialmente pensando alle atmosfere dei sui primi celebri lungometraggi, Se mi lasci ti cancello e L’arte del sogno. Ci riesce? Vediamolo insieme...
L'Écume des jours
La trama de La schiuma dei giorni non è particolarmente complessa. Nella Parigi fantastica e trasfigurata in cui si svolge, Colin, un giovane bello, ricco e idealista (nel film è Romain Duris), si innamora di Chloé (una Audrey Tatou sempre più deliziosa), ragazza che gli pare l’incarnazione dell’omonimo pezzo di Duke Ellington. Il loro matrimonio, fulmineo e felice, si tramuta in dramma quando una grave malattia colpisce la ragazza: una ninfea si insidia nel suo polmone - una metafora bella e straziante per descrivere l’orrore di un cancro che cresce fino alle estreme conseguenze - togliendole il respiro. L’unica speranza per tenere in vita Chloé pare essere quella di tenerla in costante contatto con dei fiori freschi, che facciano appassire la ninfea. Per pagare le cure Colin si indebita, e il mondo che lo circonda diventa tetro e sporco. La sua casa, un tempo colorata, spaziosa e linda, rimpicciolisce. Le pareti si riempiono di crepe e ragnatele. I rapporti con i suoi amici di sempre si sfaldano: il maggiordomo Nicolas (l’Omar Sy di Quasi amici) invecchia a vista d’occhio mentre Chick (Gad Elmaleh) è sempre più schiavo della sua fissazione per il filosofo Partre, che lo porta a compiere autentiche follie pur di acquistare ogni oggetto che lo riguardi, non solo i libri ma anche profumi, pillole e statue griffate col suo nome. Un po’ come si fa oggi con le action-figures e i gadget che raffigurano i nostri eroi preferiti.
Da utopia a distopia
La forza del racconto sta nell’atmosfera fiabesca e onirica che circonda la vicenda, coadiuvata da una parziale a-temporalità che permetteva a Vian di descrivere una Parigi ‘alternativa’, riconducibile agli anni ’40 ma non esattamente ai ‘nostri’ anni ’40, come se si trattasse di una dimensione parallela. Gondry resta fedele a questo intento, ma lo fa proprio. La metropoli del film è idealizzata, ma non è quella del romanzo: affascinanti elementi scenografici retro-futuristi si mescolano ad altri più facilmente databili, anni ’60 e ’70 soprattutto, ma c’è una scena - il volo romantico su una nuvola-cigno sollevata da una gru - che rimanda invece a una contemporaneità disarmante, essendo girata e ambientata nell’attuale mega-cantiere di Les Halles, in attesa di riapertura. E’ un mondo dove esiste Internet, ma non ha l’aspetto né le funzionalità che conosciamo: perfino ‘Google Maps’ viene realizzato in una maniera ingegnosa e assolutamente artigianale. Tutto ciò si sposa perfettamente con lo stile visivo del regista, a oggi l’unico autore che può permettersi, restando credibile, di usare l’animazione ‘a passo uno’ in contesti e situazioni in cui chiunque altro avrebbe utilizzato la computer graphic.
La prima parte della pellicola è una giostra per gli occhi e una gioia per il cuore, in linea con gli stati d’animo in cui si trovano i personaggi. Man mano che la trama procede e si inerpica in territori drammatici, le immagini si desaturano, le architetture diventano spettrali. Siamo dalle parti di Brazil di Terry Gilliam, volendo azzardare un paragone. Da Utopia a Distopia, non diremo se con o senza ritorno.
Gli amanti irriducibili del romanzo troveranno sicuramente dei difetti e delle mancanze nella trasposizione filmica, decisamente non facile, di tutti gli arabeschi linguistici e metaforici di cui è infarcito il libro La schiuma dei giorni. Dal canto nostro, non riusciamo a immaginare un’altra soluzione possibile: Gondry usa con credibilità tecniche vecchio stile (in particolare la stop-motion) e architetture retro-futuriste, ancorando al contempo saldamente la storia al presente. Sembrano tornate le visioni di Se mi lasci ti cancello e L’arte del sogno, con un cöté se possibile ancor più struggente, che fa male al cuore e, al contempo, lo risveglia.