Monuments Men, la recensione: un cast all-star al servizio del bene

Uomini coraggiosi, in missione per salvare la cultura in guerra: la recensione di Monuments Men.

Monuments Men, la recensione: un cast all-star al servizio del bene
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“Ci ricorderemo di quegli uomini?” è la domanda che si pone il film. Ecco la risposta: sì.
O meglio, ce ne ricorderemo indirettamente quando vedremo i Rodin, i Cezanne, i Renoir che hanno salvato. A ricordarci chi sono stati quegli uomini volenterosi che hanno salvaguardato importanti opere d’arte dalla smania di onnipotenza del nazismo, invece, interviene il nuovo film di George Clooney: allora la domanda inserita nel film, “Ci ricorderemo di quegli uomini?”, è un sì perché il film ne sta già parlando, ma è anche una velata frecciatina, come se Clooney ci stesse dicendo “Sì, ce ne ricordiamo, ma anche perché ve li ho fatti ricordare io”. E’ così che questi sette uomini, noti come i Monuments Men, che si occupavano di salvare le opere trafugate illegalmente dalla Germania nazista, vengono a loro volta salvati dall’oblio grazie a un ingente investimento hollywoodiano. Trasposizione dell’omonimo libro di Robert M. Edsel del 2009, il film vede l’usuale strategia clooneyana alle spalle: produzione e sceneggiatura a carico di Clooney e del fidato Grant Heslov, titolari della casa di produzione Smokehouse Pictures (una delle produttrici del film, assieme a Studio Babelsberg, 20th Century Fox e Columbia Pictures), con Clooney alla regia e in veste di attore protagonista.

Monumentale?

Siamo nel 1944 inoltrato, gli Alleati sono già sbarcati in Normandia e il conflitto mondiale imperversa aspramente: ora pero si pone un nuovo, grosso problema. Frank Stokes (George Clooney) ce lo presenta sottoforma di diapositive: il progetto nazista del Führermuseum, delirio di onnipotenza pensato da Hitler, sta depredando mezza Europa di ogni singola opera d’arte, collezione, oggetto di design e anche mezzi di trasporto di interesse vario (come alcuni vecchi tram). L’esercito nazista depreda ogni briciola come un’invasione di lanzichenecchi, ma l’opera d’arte non appartiene di fatto a nessuno: con questo presupposto e il serio obiettivo di riportare l’opera alla sua collocazione originaria, preservandola alla memoria e impedendo un furto di proporzioni mastodontiche, Stokes riunisce una squadra di sette uomini spiccatamente votati al mondo museale e artistico.

Tra questi, James Granger (Matt Damon), Richard Campbell (Bill Murray), Jean Claude Clermont (Jean Dujardin) e Walter Garfield (John Goodman). Un ricco cast che va a nutrire la squadra dei Monuments Men, sorta di soldati ibride, a metà tra la spia e l’ispettore. Forse è per questo che il primo tempo funziona decisamente bene: la spiegazione della missione, il reclutamento (con tanto di cornice che raffigura ogni personaggio nel bel mezzo della propria attività usuale), l’addestramento militare impacciato e lo spartimento degli incarichi. Dal secondo tempo però le fila tendono in parte a disperdersi, divise tra Francia, Olanda, Belgio e Germania. Compare anche una fetta di Italia, tra cui una scena breve ma di impatto degli sforzi in atto a Milano per preservare L’ultima cena.

uomini e memoria

Il merito principale del film è quello di far scoprire al grande pubblico una storia finora trascurata, e soprattutto di mostrare il difficile incarico gestito dai Monuments Men, alle prese non solo col nemico tedesco ma anche con problematiche interne agli Alleati. Pregiudizi, disinformazione e prepotenza governano un clima ostile, e la battaglia di questa truppa sui generis è prima di tutto concepita come un difficile valzer di contatti diplomatici e legami.

La guerra e lo spettro nazista, accennato ma mai troppo calcato, risultano di particolare impatto: la stessa scelta di non mostrare mai il volto di Hitler né sentirlo parlare, unitamente alla colonna sonora, generano un’atmosfera carica di tensione. Un racconto che coinvolge tutti, che parallelamente e indirettamente è il racconto della guerra, ma dal punto di vista di chi è in missione per salvare tutto il patrimonio artistico trafugato. Alternandosi tra Parigi e Gent, tra Belgio e Germania, con una Claire Simon magistralmente interpretata da Cate Blanchett, il film riesce a creare un certo climax, una lotta contro il tempo per salvare i capolavori dall’ultimatum del fuhrer: “se la Germania cadrà, o io morirò, tutte le opere d'arte verranno distrutte”.

Monuments Men Preservare la memoria di chi ha preservato la memoria: un compito carico di responsabilità, che Clooney e Heslov compiono brillantemente nella prima parte, rendendo l’incipit gradevole e coinvolgente. Non aiuta nello svolgimento la dislocazione geografica dei membri della squadra, che rendono il film davvero forte quando uniti. Un film per sua natura lineare, con una regia semplice ma d’effetto, è così costretto nella sua parte centrale a diventare corale, smorzando in parte l’effetto della narrazione. Si perde in parte quell’unità che il film esigeva al principio e reclamava alla conclusione. Resta un film interessante, gradevole ma non entusiasmante, realizzato con una forte credibilità e cosparsa di immancabile sapore retorico americano. Una prova ben riuscita per Clooney, ma che poteva e doveva essere più convincente.

7

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