Monolith: la recensione del thriller diretto da Ivan Silvestrini

Dalla graphic novel all'adattamento cinematografico: una sterzata insicura al cinema di genere italiano, tra survival movie e drammaticità.

Monolith: la recensione del thriller diretto da Ivan Silvestrini
Articolo a cura di

Il 2016 è stato un anno d'oro per il cinema italiano, che gettandosi alle spalle innumerevoli prodotti comedy nostrani ha visto l'arrivo in sala di produzioni di genere di tutto rispetto, partendo da Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, curioso e riuscito esperimento superhero movie "alla romana", fino ad arrivare a Mine, che sì, ha interpreti e co-produzione americana, ma la regia è dei nostri Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, senza dimenticarci Perfetti Sconosciuti, Veloce come il vento o Indivisibili. Tutti prodotti che hanno lasciato ben sperare in un prosieguo di alta qualità per il cinema di genere del Bel Paese, cosa che invece il 2017 ha in parte smentito, almeno finora, con un'annata fiacca in termini di coraggio produttivo. Proprio in questo contesto, però, Sky Cinema e Sergio Bonelli Editore hanno deciso di co-produrre e rilasciare nelle sale tramite la Vision Distribution Monolith, omonimo adattamento della graphic novel in due atti nata da un soggetto di Roberto Recchioni (Dylan Dog, Orfani), sceneggiata da Mauro Uzzeo e disegnata da Lorenzo Ceccotti aka LRNZ. Il prodotto cartaceo è visivamente strabiliante, con tavole sinceramente impressionanti e una narrazione per immagini esemplare, che si addossa il pathos di una storia che procede spedita più su un piano artisticamente espressivo che dialogico. Il progetto è comunque nato per essere cross-mediale, cioè adattarsi in modo differente a più media, che in questo caso sono fumetto e cinema; e infatti la trasposizione di Ivan Silvestrini (2night) risulta in parte diversa dall'opera originale, riproponendo sì con vivacità la stessa verve visiva di LRNZ sul grande schermo, ma lasciando un sapore un po' amaro in bocca in termini di pura narrazione e storia, forse meno d'impatto nel buio di una sala.

Ciò che ti protegge...

Il film, come la graphic novel, racconta così la disavventura di Sandra, interpreta qui da Katrina Bowden (30 Rock), che offre una prestazione funzionale alla riuscita della parte ma spesso in overacting -cosa che capita comunque anche a Jennifer Lawrence in Hunger Games, per dire. La ragazza si sta recando a casa dei suoceri con il figlio David alla guida di Monolith, la macchina più sicura al mondo, concepita a costruita per tenere al sicuro i propri cari in caso di aggressione o furto. Proprio la tecnologia avanzata della vettura, però, metterà in pericolo David quando questo si chiude inavvertitamente nella macchina in modalità Vault, impossibile da penetrare dall'esterno. E Sandra, neanche a dirlo, resterà chiusa fuori, nel bel mezzo del deserto, senza alcun aiuto e in balia dell'aridità e delle escursioni termiche della zona. Ad assisterla solo la disperazione di una madre in lotta per la salvezza del figlio. Il concept, come si evince, è molto semplice, e tra survival movie e thriller-drama, di base, vuole analizzare le conseguenze dell'avventatezza dell'uomo nella creazione di queste IA quasi mai in grado di rispondere a un bisogno emotivo umano. Hanno dietro solo calcoli e percorsi intellettivi scriptati atti sì, a proteggere, ma quasi mai ideati per comprendere e analizzare situazioni al di fuori di quelle per cui sono state concepite. E il dramma risiede proprio in questo: nell'incomprensione tra intelletto umano e artificiale, una forbice che sembra impossibile da stringere. Nel caso di Monolith, poi, c'è anche una vita in pericolo, quindi l'elemento ansiogeno si mantiene vivo nel corso della breve durata del film, solo 1 ora e 24. Ma è giusta e anzi sembra anche troppa data la natura del racconto, privo di un approfondimento adeguato per le storyline secondarie e con un ripetersi di azioni a tratti stressante, elemento forse appositamente voluto e studiato. Più e più volte Sandra tenterà infatti di sfondare con diversi oggetti i vetri infrangibili di Monolith, sfogando anche la sua rabbia e la sua frustrazione sulla carrozzeria anti-tutto della vettura, ovviamente senza risultati costruttivi e creando inavvertitamente nello spettatore un distacco che scade spesso nel ridicolo, portando alla noia. E qui scatta il paragone obbligato con Mine di Fabio&Fabio, che nella sua finta immobilità riusciva a imprimersi più a fondo nella mente del pubblico, anche per trovate visive incredibili e soprattutto per un non ripetersi di situazioni, in un contesto che prevedeva un uomo bloccato sopra una mina.

Non tutto è da buttare

Messa così sembrerebbe che Monolith non renda un minimo di giustizia al fumetto, ma in realtà diversi elementi del film sono ben studiati e interessanti. L'occhio di Ivan Silvestrini, ad esempio, riesce a catturare scorci di una bellezza monumentale, giocando proprio come LRNZ con i colori, dal rosso al viola fino al giallo, in scelte paesaggistiche mozzafiato rese ancor più belle da una fotografia curata discretamente per un film dal piccolo budget come questo. Alcuni spunti della seppur troppo spoglia trama sono poi stimolanti, mai sofisticati o ambizioni, ma gradevoli. C'è poi da sottolineare il coraggio di continuare a sperimentare nei generi e proporre all'audience idee diverse dalle solite, insulse produzioni che tanto ci piace criticare e affossare, tra commedie di natale e piccoli film drammatici indipendenti spesso insipidi e senza ragion d'essere. Qui c'è almeno la voglia di guardare oltre, verso una dimensione qualitativa differente e dal sapore internazionale, seguendo le orme dei titoli citati in apertura. Che poi Monolith fallisca sotto svariati punti di vista è un altro discorso, perché il tempo per rialzarsi si troverà sempre, mentre quello per tentare, in fondo, passa molto velocemente.

Monolith L'adattamento della graphic novel di Recchioni, Uzzeo e LRNZ si dimostra in parte vincente sul piano visivo grazie all'occhio di Silvestrini, attento alla scelta paesaggistica, ma in termini di pura narrazione e intrattenimento risulta fallace e spesso noioso, nonostante la sua breve durata. È comunque un cinema coraggioso, che miscela diversi generi per regalare un prodotto quantomeno coerente, dal sapore internazionale e dalle ambizioni piccole e chiare: dimostrare ancora una volta come si possa fare un tipo di cinema differente anche in Italia. Un pregio, questo, che ci sentiamo sinceramente di premiare, perché sintomo di cambiamento e perfettibilità.

6

Quanto attendi: Monolith

Hype
Hype totali: 11
49%
nd