Recensione Mommy

Xavier Dolan traduce un burrascoso, disperato rapporto madre-figlio in un capolavoro di rara forza visiva ed emotiva

Recensione Mommy
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Già definito Enfant prodige (e anche un po' terrible) del cinema canadese, l'appena venticinquenne Xavier Dolan promette di essere forse uno dei giovani registi più interessanti e quotati del panorama internazionale del futuro. Largamente apprezzato per i suoi lavori precedenti - J'ai tué ma mère (2009), Les Amours imaginaires (2010), Laurence Anyways (2012), Tom à la ferme (2013) - e giunto qui al suo quinto lungometraggio Mommy (opera transitata per l'ultimo Festival di Cannes e aggiudicatasi il Premio della giuria) Dolan porta infatti alla vita opere attraversate da un profondo senso di smarrimento e allo stesso tempo animate da una incredibile linfa vitale. In questo imprinting artistico rientra senza alcun dubbio anche quest'ultimo lavoro Mommy, storia tragica e profondamente umana di un rapporto madre-figlio disturbato e bellissimo, disperato e assoluto. Diane (soprannominata Die - forse anche per un'allusione a quel tangibile senso di fine che anima la sua vita), è una madre single dal look e dall'approccio aggressivi che tendono però a mascherare una disperata e incolmabile insicurezza e una profonda fragilità. Suo figlio Steve ha assorbito da lei e dalla precoce scomparsa del padre quel senso di inadeguatezza che ha poi trasformato in un atteggiamento violento ed iperattivo che s'inscrive nel complesso disturbo da deficit di iperattività. Cacciato dall'ultimo istituto dove ha causato un incendio e conseguenti gravi ustioni ad alcuni suoi coetanei, Steve tornerà dunque a casa dalla madre che si è da poco trasferita ed ha anche perso il lavoro. Una condizione assai precaria che porterà nuovamente alla luce la forza bivalente di quel rapporto madre-figlio tanto profondo quanto letale. Un legame primordiale inscindibile, segnato dalla violenza e dal caos emotivo che verrà (per una breve e catartica fase) temperato dalla presenza di una terza figura, ovvero quella della balbuziente vicina di casa Kyle, anche lei (come Diane e Steve) in fuga da qualcosa, rinchiusa nel suo mondo di silenzio per sopperire al dolore delle parole. Sarà infatti proprio la sua quiete esteriore, contrapposta all'inferno relazionale di Diane e Steve, a catalizzare quel rapporto e a farne emergere in tutta la sua irruenza il profilo di un amore (e di un legame di sangue) bellissimo e disperato.

L'abisso dell'amore

Alla sua quinta prova Xavier Dolan realizza un film che è un fiume in piena di emozioni ed emotività. Inquadrato e cesellato attraverso momenti di rara potenza audiovisiva (su tutte la fuga in skate sulle note di Colorblind, la scena del ballo a tre sulle magnifiche note di On ne change pas, e il momento lacerante del karaoke in cui va in scena una versione snaturata di Vivo per lei di Bocelli) il rapporto che Dolan descrive è un amor fou madre-figlio, un rapporto impossibile sia da vivere sia da non vivere. Ed è attorno a questa dannazione esistenziale ed emotiva che Mommy si trascina appresso una carica ribelle e vitale che tocca in alcune scene punte di un parossismo espressivo fenomenale. Anche la scelta di utilizzare un formato ‘striminzito' 1:1 che marca in maniera ancora più lampante il confine tra l'asfissia del rapporto e l'incontenibile esuberanza alla quale tende risulta infine una scelta assai funzionale per far aderire il contenuto al mezzo. Dolan usa una regia ribelle ed elettrica che sfila via come una sfrenata discesa in skateboard, tra salti, iperboli, movimenti sussultori, ralenty. Eppure, la rapsodia di uno stile in perenne moto, non toglie al giovane regista la capacità di seguire con altrettanta freschezza (ma anche rigore) lo sviluppo narrativo della sua storia. Geniale, in questo senso, la scelta di contrapporre al ‘trambusto' del rapporto centrale, la presenza profonda e silenziosa di un occhio esterno, catalizzatore (il personaggio di Kyle), con il quale lo spettatore tende quasi a fondersi, sostituirsi. A legare il tutto c'è poi quella componente musicale travolgente che cristallizza i momenti chiave del film con una sincerità emotiva fuori dal comune e che i tre protagonisti rappresentano con assoluta aderenza e visceralità: perfetto in ogni fotogramma lo Steve Després di Antoine-Olivier Pilon, e altrettanto inappuntabili le interpretazioni di Anne Dorval e Suzanne Clément nei rispettivi panni di Diane (Die) Després e Kyla. E attraverso l'aggregazione e la disgregazione di questo singolare quanto potente trio umano, vanno in scena tutto l'affanno, la disperazione e la fragilità di un'inadeguatezza umana/emotiva incredibilmente toccante.

Mommy Per la sua quinta regia il venticinquenne canadese Xavier Dolan porta al cinema Mommy, un film che inquadra con struggente emotività il rapporto difficile, impossibile tra una madre e un figlio patologicamente in cerca d’amore. Film di una maturità perfettibile (difetto davvero trascurabile se si considera la giovane età del regista), Mommy trascende le sue piccole imperfezioni attraverso i suoi momenti chiave, vere e proprie estasi emotive catalizzate da un uso esuberante tanto dell’immagine quanto della musica. Un piccolo capolavoro che racchiude un potenziale artistico enorme e che inserisce il nome di Xavier Dolan tra le maggiori promesse del cinema internazionale del futuro.

8.5

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