Millennium - Quello che non uccide Recensione: peccare di presunzione

L'ultima trasposizione dei romanzi di Millennium vede Claire Foy esordire nel ruolo che fu di Noomi Rapace e Rooney Mara, per la regia di Fede Alvarez.

Millennium - Quello che non uccide Recensione: peccare di presunzione
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Ci ha lasciato nell'ormai lontano 2004 ma l'eredità depositata al grande pubblico continua a vivere tutt'oggi, sia nelle pagine dei romanzi che nelle trasposizioni cinematografiche che con alterne fortune hanno varcato la soglia del grande schermo: stiamo parlando di Stieg Larsson, scrittore svedese che ha consegnato alla storia del genere thriller la trilogia di Millennium. Non è mai stato in grado di vedere nessuno dei suddetti adattamenti, giacché il primo ha visto la luce delle sale nel 2005, ovvero quell'Uomini che odiano le donne che ha lanciato anche la carriera di Noomi Rapace, straordinaria e ineguagliata protagonista nelle vesti di Lisbeth Salander. Se volete saperne di più, la nostra recensione de La regina dei castelli di carta (2009) è a portata di clic.

Un ruolo poi ripreso da Rooney Mara nella sfortunata versione hollywoodiana firmata da David Fincher, come potete leggere nella recensione di Millennium - Uomini che odiano le donne (2011), che sembrava aver definitivamente chiuso il cerchio sul franchise. Ma eccoci qui a parlare invece di questo sequel / soft reboot parzialmente inaspettato, che ha visto Fede Alvarez sedersi dietro la macchina da presa per l'ambito compito di rilanciarne le fortune e Claire Foy a esordire nelle scomode vesti dell'hacker più affascinante della storia del cinema. Millennium - Quello che non uccide viene trasmesso questa sera su Cielo Tv e ne approfittiamo per tornare a parlarne e vedere cos'è andato storto oppure no.

Quello che non torna

Va detto intanto che The Girl in the Spider's Web, questo il suggestivo titolo originale, è tratto dal romanzo continuativo della saga, opera non più dell'ormai compianto Larsson ma del collega e connazionale David Lagercrantz, che ne ha ripreso i personaggi per raccontare nuove storie.

Ma Millennium - Quello che non uccide sembra peccare di presunzione, così come già fece il suo diretto predecessore: questo sguardo fin troppo spettacolare e in odore di blockbuster stona infatti con il cuore del racconto e perde il confronto con le atmosfere che le pellicole scandinave erano riuscite a trasportare con ideale e fulgida freddezza.
Nelle due ore di visione infatti il fulcro narrativo appare schiavo di logiche spesso gratuite e qualche passaggio virtuoso e visionario - a volte efficace, altrove incoerente - non basta a nascondere questo sentore da action-movie che fa capolino in molteplici occasioni, tra soluzioni tensive calibrate all'ultimo secondo in favore di una suspense semplice e priva di sfumature. La stessa entrata in scena di figure secondarie inedite come il War Child di Lakeith Stanfield, rivale nonché provvidenziale cecchino al posto giusto nel momento giusto, vive su soluzioni forzate e improbabili, mentre il rapporto chiave tra Lisbeth e l'immancabile giornalista di Mikael Blomkvist (un anonimo Sverrir Gudnason) manca della necessaria ambiguità e di quella chimica invece fondamentale nei film originali.

Una pietra tombale?

La trama è puramente accessoria e almeno nella relativa messa in scena latita della necessaria spinta: un bambino in grado di decifrare codici fondamentali atti a bypassare sistemi di sicurezza, un intrigo internazionale che riguarda il potenziale utilizzo e relativo accesso ad armi atomiche, un ritorno dal passato già parzialmente suggerito dal flashback narrato nel prologo.

Prologo peraltro speculare con la resa dei conti finale, che giunge in maniera forse un po' affrettata dopo quanto imbastito in precedenza, dando l'impressione che anche stavolta qualcosa non sia andato per il verso giusto e di come sia forse meglio mettere definitivamente fine alle incursioni su grande schermo di Lisbeth.

Millennium - Quello che non uccide Lisbeth Salander torna di nuovo in azione in questa nuova trasposizione per il grande schermo, che si pone come una sorta di soft-reboot della versione firmata David Fincher. Claire Foy esordisce nel ruolo reso immortale da Noomi Rapace e nonostante l'impegno non riesce a dar vita alle affascinanti sfumature di un personaggio che viene depotenziato in fase di sceneggiatura, privato delle necessarie ambiguità così come una storia che insegue eccessivamente un modello di spettacolo hollywoodiano nel malcelato tentativo di rivolgersi a un pubblico eterogeneo, tra colpi di scena e inaspettati ritorni, salvataggi dell'ultimo minuto e velleità action spesso inverosimili.

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