Recensione Miele

Valeria Golino firma il suo primo lungometraggio con una storia in bilico tra vita e morte

Recensione Miele
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Irene ha trent'anni, ha studiato medicina per un paio d'anni ma poi ha mollato, forse per il dolore di una grande perdita o perché non le sembrava più la strada giusta da percorrere. Non ha un fidanzato fisso e preferisce relazioni ‘disimpegnate' dalle quali restare accuratamente estranea. Irene ha deciso di aiutare gli altri in un modo un po' particolare in quella che è diventata l'attività centrale della sua vita. Da un po' di tempo, infatti, è entrata a far parte di un ‘giro' che si occupa di suicidio assistito. Il compito della ragazza è quello di procurarsi il Lamputal (un medicinale veterinario letale che se usato in grandi quantità ha lo stesso effetto anche sull'uomo) in Messico per poi dirigersi di casa in casa e svolgere secondo le regole prestabilite il suo ‘lavoro'. I suoi ‘clienti' sono persone affette da gravi malattie e che non avendo più molto da vivere decidono di accorciare il loro calvario, abbreviare la loro agonia. Con lo pseudonimo di Miele, Irene attraversa così (silente come un'ombra) le esistenze di queste persone determinate a lasciare il mondo dei vivi anche se non completamente pronte a farlo. Tra quei volti spenti e quegli occhi smarriti Irene deve svolgere il suo lavoro scandito da tempistiche ben precise e da regole molto ferree; una dinamica ben oliata che verrà messa in discussione quando la ragazza scoprirà di aver consegnato il Lamputal a un anziano ingegnere non affetto da una grave malattia ma semplicemente stufo di vivere. ‘L'incidente' risveglierà a gran voce la coscienza etica della ragazza, fino a quel momento convinta del suo operato. Nel tentativo di recuperare il farmaco di morte dalle mani dell'ingegner Grimaldi, Irene incontrerà e si scontrerà con la figura di un uomo colto e ‘ispido', abituato a stare solo e refrattario al contatto umano. Un incontro decisivo nella vita di entrambi e che lascerà senza dubbio il suo segno.

Male di Miele

Per molti aspetti sorprendente l'esordio alla regia di Valeria Golino che affronta una tematica assai complessa come quella dell'eutanasia, o meglio del suicidio assistito senza crogiolarsi nei soliti cliché o trincerarsi dietro una precisa posizione. Come un vero e proprio angelo della morte, la sua protagonista Miele vaga infatti tra le vite di gente stufa di (non) vivere per aiutarla a metter fine al supplizio. Un tema scomodo e assai controverso che la Golino sa riportare però a un livello prettamente umano, utilizzando un punto di vista decisamente ‘neutrale'. Ed è infatti proprio attraverso gli occhi di Miele (ovvero Irene) che apprendiamo la determinazione ma anche la paura e la tristezza di queste persone che si sono auto condannate a morte, con la complicità dei loro cari e l'aiuto della ragazza. È un giro di vite marcato molto stretto e finemente raccordato al vorticare frenetico della stessa vita di Irene, sempre in corsa tra bici, sesso mordi e fuggi, viaggi in Messico. Una vita (anche per lei) non-vissuta ad alta velocità nel tentativo di non riflettere, non farsi soggiogare dal pensiero. Con grande sobrietà ma anche lucidità registica la Golino segue dunque il percorso di ricognizione fatto da Irene, caduta in disperazione e costretta a fermarsi quando si accorgerà di essersi trasformata in una sorta di sicario alla dipendenze dei soliti interessi economici. Dignitoso nel suo saper raccontare la morte senza mostrarla, Miele ha il grande pregio di aggirare il dibattito sociale sul tema, lasciando che il dibattito si agiti solo internamente alla protagonista. Una regia capace di sottolineare alcuni momenti fondanti di questa parabola umana con grande ma sobria delicatezza, tenendosi lontana dalle facili e stereotipate evoluzioni drammatiche. Il dramma c'è ma quasi non si vede perché è filtrato attraverso gli occhi e le percezioni di Irene, nell'onesta e funzionale interpretazione di Jasmine Trinca.

Miele Il primo lungometraggio dell’attrice (ora anche regista) Valeria Golino è una storia intensa e sentita che descrive il dolore del non poter (o non saper) più vivere. Attraverso il coraggio ma anche la paura di chi vuol metter fine alla propria esistenza, riusciamo così a sondare il labile confine tra la vita e la morte, e il labilissimo confine tra il diritto alla vita e quello alla morte. Un tema assai spinoso che la Golino ha la capacità di umanizzare, attraverso il racconto di una ragazza come tante determinata ad alleviare la sofferenza del mondo ma forse ancora non abbastanza matura da capire come farlo.

7.5

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