Memoria Recensione: Tilda Swinton alla ricerca di se stessa

Il nuovo film del maestro thailandese Apichatpong Weerasethakul, premio della giuria a Cannes, è un viaggio introspettivo e ricco di suggestioni.

Memoria Recensione: Tilda Swinton alla ricerca di se stessa
Articolo a cura di

Ha vinto il premio della giuria alla 74esima edizione del Festival di Cannes ed è finalmente pronto a sbarcare nelle nostre sale, prima di approdare poi online su MUBI che ne acquistato i diritti in esclusiva. Stiamo parlando dell'ultima opera di uno dei registi più riconoscibili del panorama contemporaneo, ossia il tailandese Apichatpong Weerasethakul. Che per l'occasione ha deciso di trasferirsi addirittura dall'altra parte del mondo, ossia in Colombia, tanto che il film è stato candidato agli Oscar come miglior film straniero proprio dal Paese sudamericano, senza poi entrare nella short-list. A riguardo, leggete il nostro speciale sul perché Drive My Car ha battuto Paolo Sorrentino.

Memoria è effettivamente un film che non fa sconti, capace di incontrare i gusti di chi ama il cinema d'essai ma anche di respingere quel grande pubblico che vede il cinema come mero passatempo / divertimento. E come tale si affranca su uno stile spiccatamente autoriale, quello ormai consolidato di un cineasta senza compromessi.

Memoria: oltre lo spazio e il tempo

La storia vede per protagonista Jessica, una donna di mezz'età che dalla natia Scozia si è trasferita a Bogotà per far visita alla sorella malata. Una notte inizia il suo calvario e comincia a sentire, in diversi momenti della giornata e posti sempre diversi, un rumore che la perseguita: un sordo boato. Spaventata, la donna è determinata a scoprire l'origine dello strano fenomeno e si rivolge ad un tecnico del suono, che cerca di ricostruirlo digitalmente.

Sarà solo il primo di una serie di incontri, che la porteranno a interloquire poi con un'archeologa che studia resti umani riemersi dopo uno scavo e infine con un pescatore che vive isolato nella foresta. Ognuno di loro la aiuterà a districare, tassello dopo tassello, l'enigma che la circonda...

Il senso del tutto

Si prende i suoi spazi e i suoi tempi, suoi in quanto cifra del suo cinema unico e senza compromessi, tale da appassionare e irretire al contempo. Una dualità di sensazioni gettate in pasto al pubblico, schiavo e complice di un apparente immobilismo carico di significati, dove un battito di ciglia o l'antifurto di un automobile può diventare inquieto risveglio dall'estetico/estatico torpore delle immagini.

Immagini dove il possibile è veicolo per l'impossibile, in cui il reale è figlio di ciò che non si può vedere ma si sente, eccome, negli spettri dell'individuo o di una collettività, nazionale o elitaria, che sia. Non è perciò casuale la scelta di un corpo filmico come quello di Tilda Swinton, senza genere e senza età, presenza eterea di un mondo che non fa altro che rincorrersi all'infinito, nei tonfi e nelle cadute. Perché in Memoria si cade a più riprese, si cade in quell'abisso che più a lungo lo guardi più lui guarda dentro di te. Un abisso senza fine che sfuma in un colpo di scena finale che non ti aspetti, ennesima sorpresa di un racconto che cela insidie ma regala altrettante soddisfazioni.

Certo, bisogna armarsi di pazienza per approcciarsi a quelle inquadrature fisse, a tratti infinite, su cui soggiace l'anima del film, sorta di una ideale prosecuzione della precedente opera del regista, di cui vi parlavamo nella nostra recensione di Cemetery of splendour. Statiche ma multiformi, abitate dell'essenza dello spirito turbato di una protagonista alla continua ricerca di risposte. Risposte su se stessa che diventano metafora di un discorso più ampio e variegato, aperto a mille sfumature.

La natura e i rumori ambientali sono fondamentali per sottolineare il climax sonoro, quel leit motiv che si fa arco narrante e sottintende l'atmosfera mystery della storia, che si svela progressivamente tra apparizioni più o meno evidenti. Fin da subito l'assenza di un'effettiva OST, se si esclude il breve concerto, si fa predominante insieme alla lentezza dei movimenti e alla quiete della battute, restituendo quel senso di placida immersione che spesso il cinema moderno nega alo spettatore. Il suggestivo contesto colombiano, con il verde delle immense foreste a far da sfondo alle fasi cruciali, è un valore aggiunto che non passa inosservato e che anche nei suoi contesti urbani è foriero di suggestioni che circondano il personaggio di Jessica. Per un'opera che non lascia indifferenti.

Memoria Dopo aver vinto la Palma d'Oro per il suo ormai leggendario Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (2010), Apichatpong Weerasethakul è tornato l'anno scorso sulla Croisette con Memoria, con il quale ha ottenuto il Premio della Giuria. Tilda Swinton è l'eterea e intensa protagonista di una storia che vive su una linearità d'intenti nella sua semplicità di narrazione, dove un rumore che "tormenta" la donna si fa veicolo per un racconto denso di significati sulla natura dell'esistenza stessa. Il contesto colombiano, dalle strade di Bogotà al verde delle foreste, è luogo ideale per questa storia di rimossi e ritorni, con un colpo di scena finale che capita come un fulmine a ciel sereno in una narrazione altrimenti placida e paradossale, dove il regista si prende i suoi tempi nella gestione delle lunghe inquadrature fisse che si alternano tra spazi e luoghi nel corso delle due abbondanti ore di visione. Per un film sicuramente "elitario" e non per tutti, ma capace di offrire tanto a chi sa cosa aspettarsi.

7.5

Che voto dai a: Memoria

Media Voto Utenti
Voti: 6
7.3
nd