Recensione Meek's Cutoff

L'atipico e metafisico western presentato a Venezia.

Recensione Meek's Cutoff
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Charles Baxter dal saggio Stillness-Burning down the house: Essays on fiction (Saint Paul, MN: Graywolf Press, 1977): "... in un saggio sul West Americano, Marilynne Robinson afferma che le nostre mitologie riguardo il West sono distorte, caratterizzate solo da pistoleri, guerre e conquiste, John Wayne, ampi spazi e massacri. E se invece, suggerisce, oltre a quel sistema di miti, dominato dagli uomini e dal caos, ci fosse un mito diverso, più comunemente percepito dalle donne, un West dominato dagli spazi e dal silenzio? Un West di silenzi, in cui i vasti spazi non invitano all'azione, ma a ciò che ho definito una condizione di trance?".
Ci sembra giusto riportare questo estratto dal pressbook del film western diretto dalla regista indipendente Kelly Reichardt per meglio capire la sua collocazione nell'ambito del genere che ha dato notorietà sia a John Ford e Howard Hawks che al nostro Sergio Leone.
Un genere omaggiato da Robert Zemeckis per mezzo di Ritorno al futuro parte 3 (1990) e che è stato addirittura sfruttato nell'ambito del cinema hard e delle pellicole interpretate da bambini, come il recente Big city (2007) di Djamel Bensalah o i nostri, dimenticati, Kid il monello del West (1973) di Tonino Ricci e L'ostaggio (1975) di Luigi Valanzano.
Senza dimenticare la variante autorial-gay de I segreti di Brokeback Mountain (2005) di Ang Lee, che, accanto a Jake Gyllenhaal e al compianto Heath Ledger, vide la Michelle Williams del serial televisiva Dawson's creek.

Sentieri selvaggi

La stessa Michelle Williams che ritroviamo qui nei panni della giovane Emily Tetherow, la quale, durante i primi giorni dell'Oregon Trail, nel 1845, si trova in viaggio su una carovana di tre famiglie che ha assunto la guida di Stephen Meek affinché le accompagni fino alle montagne di Cascade.
Interpretato dal mai disprezzabile Bruce Greenwood de La versione di Barney (2010), quest'ultimo, affermando di conoscere una scorciatoia, guida il gruppo su un sentiero non tracciato, attraverso un deserto sugli altipiani, per perdersi tra le rocce aride e l'artemisia e portare gli emigranti, nei giorni successivi, a dover affrontare la fame, la sete e la reciproca mancanza di fiducia negli istinti di sopravvivenza. Fino al momento in cui un nativo americano incrocia la loro via e il gruppo si trova indeciso tra il riporre la fiducia in una guida che si è dimostrata inaffidabile o in un uomo che hanno sempre considerato un naturale nemico.

Scusi, dov’è il West?

E, con capelli lunghi e barbone che contribuiscono a renderlo in parte irriconoscibile, sembra quasi essere tornato ai tempi in cui interpretò il Dennis Wilson degli anni Settanta nel televisivo Sogni d'estate-La storia dei Beach boys (1990) Bruce Greenwood, sicuramente tra i lati positivi di un'operazione che, in maniera non poco affascinante, apre immersa nel silenzio assoluto, lasciando la parola alle sole immagini e ai rumori naturali.
Un'operazione che ricorre ai paesaggi americani e ai racconti di viaggio, proprio come le precedenti opere della regista, sceneggiate dallo stesso Jonathan Raymond anche qui curatore dello script: Wendy and Lucy (2008), girata lungo le ferrovie che circondano le periferie dell'Oregon e che rivelava i limiti e le profondità del senso del dovere provato gli uni per gli altri in tempi difficili, e Old Joy (2006), storia di amanti in fuga volta invece ad esplorare la mascolinità liberale contemporanea nel contesto delle terre selvagge domate della Contea di Dade, in Florida.
Un'operazione continuamente giocata sul confronto tra i vari protagonisti - in mezzo ai quali anche il Paul Dano de La ragazza della porta accanto - e sul potere di volta in volta assunto da diversi di loro all'interno del gruppo, mentre a dominare sono soprattutto le splendide scenografie naturali e i curati costumi di Vicki"New York, I love you"Farrell.
Peccato che l'insieme, però, costruito su lenti ritmi di narrazione e culminante in un finale improvviso, non fatichi ad apparire ben presto eccessivamente verboso, tanto da risultare consigliabile in maniera esclusiva agli appassionati e completasti del filone, al di là della buona confezione tecnica.

Meek's Cutoff La regista indipendente Kelly Reichardt si dà al western con questa pellicola che, presentata in concorso presso la sessantasettesima Mostra d’arte cinematografica di Venezia, prosegue un ideale discorso relativo ai paesaggi americani e ai racconti di viaggio iniziato con le sue opere precedenti. Il risultato finale, però, decisamente lontano dalle violente e movimentate storie di cowboy e apache a cui la celluloide a stelle e strisce ci ha per lo più abituati, è un prodotto di taglio molto letterario e poco cinematografico che, nonostante la buona confezione tecnica, pecca non poco in eccessiva lentezza e lungaggini di narrative.

6

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