Dopo tutto questo tempo, tornare in Matrix? Ce lo siamo chiesti tutti. Una meravigliosa e paurosa follia, quella di Lana Wachowsky: condurci nuovamente nella tana del bianconiglio, rievocando quello stesso viaggio di 22 anni fa, quando l'epopea dell'Eletto raccontava la fine di un sogno per aprirne un altro. The Matrix ci ha liberati tutti verso la magia del Cinema, è storia scolpita a caratteri cubitali nell'antologia del medium (recuperate il riassunto della saga di Matrix e il nostro approfondimento dedicato a Matrix). Eppure già con Reloaded e Revolutions il viaggio di Neo si distaccò dalla meraviglia della prima ora per abbracciare qualcosa di diverso, seppur coerente con quanto seminato nel capitolo originario.
Cosa ci regala Matrix Resurrections? Il quarto capitolo della saga oscilla tra la nostalgia del classico e la necessità di scrivere una nuova pagina per l'Eletto. Nel mezzo, una discreta dose di "metanarrazione" che non osa abbastanza e che, a visione in anteprime ultimata, ci ha purtroppo trasmesso la consapevolezza di un progetto che non ci ha creduto fino in fondo.
Matrix 4, una metastoria convincente
Il primo atto di Matrix Resurrections è indubbiamente l'elemento più riuscito del film di Lana Wachowski. Rispettoso della mitologia classica e capace di rievocare alcune delle sequenze più iconiche del primo episodio (conoscete già le scene preferite di Keanu Reeves in Matrix?), così come diversi concetti e riflessioni interessanti sulla rottura della quarta parete.
Sembra tutto al proprio posto quando, nell'incipit della pellicola, riassistiamo a scene familiari, eppure calate in un contesto inaspettatamente nuovo. La premessa narrativa da cui parte la "resurrezione" dell'Eletto che dà il titolo alla produzione è quanto di più interessante che Matrix 4 possa donare al suo pubblico, tra riferimenti e metacitazionismo in grado di giocare sapientemente con i pilastri fondanti dell'immaginario alla base della saga. Eviteremo, volutamente, di scendere eccessivamente nel merito della trama per lasciarvi al piacere della sorpresa e della scoperta in un primo segmento di film che riuscirà a convincere anche i fan della prima ora, e che a nostro parere avrebbe dovuto rappresentare la "matrice", per l'appunto, di tutta la narrativa. Perché nella nuova storia di Thomas Anderson, e nel mondo inedito costruitogli attorno, si spalancano specchi e finestre sulla memoria storica del franchise, tra dialoghi e intere sequenze che riflettono sul rapporto squisitamente metacinematografico che Matrix Resurrections instaura minuto dopo minuto con The Matrix del 1999.
Inciampare nella tana del bianconiglio
Ma è quando l'opera di Wachowski intende seguire il bianconiglio, quando viene stacca la spina all'alimentatore della nostalgia e del metacinema, quando si emerge dalla placenta sintetica e si entra nel nuovo mondo che Matrix Resurrections mostra parecchi dei suoi evidenti limiti.
Quelli, anzitutto, di una storia che vuole percorrere un binario semplice e lineare inerpicandosi attraverso sentieri narrativi troppo impervi per la restante ora e mezza di visione. Quando l'ultima missione di Neo diventa chiara e lampante, il quarto capitolo della saga presta il fianco ad una sceneggiatura fin troppo ambiziosa persino per i suoi stessi confini. Tenta, nel giro di appena due atti, di ridefinire i meccanismi e i canoni di un mondo fin troppo cambiato rispetto alle sue origini. Mette davvero tanta carne al fuoco, Resurrections, senza concludere né soddisfare chi vorrà saperne di più sulle regole di questo nuovo immaginario. Paradossalmente, sul piano della Lore, il film con Keanu Reeves commette gli stessi errori dei due precedenti e travagliati sequel, ma non riesce comunque a replicarne la solidità e il fascino.
Merito anche di una riscrittura che ad alcuni dei pochi volti storici (da Reeves a Carrie-Anne Moss) aggiunge una pletora di new entry che non replicano l'efficacia del cast originario. Da un Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II) troppo dandy ad un Agente Smit (Jonathan Groff) semplicemente insipido, fino al sorprendente ruolo di Neil Patrick Harris, che si rende protagonista di momenti interessanti che purtroppo non vengono approfonditi a sufficienza.

E se già la trama di Matrix Resurrections vive di luci e ombre, anche la messinscena ci ha messo di fronte ad emozioni contrastanti. La regia citazionista di Lana Wachowski convince soprattutto quando si collega alle scene più iconiche e ai frammenti di Lore del passato, pur non aggiungendo nulla di sorprendente per quanto concerne la cornice artistica. Interessante, ad esempio, un montaggio presente nella prima parte del racconto, nel quale viviamo il loop psichedelico e asfissiante in cui Anderson quasi si impone di vivere.
Anche in questo caso l'aspetto più interessante della pellicola sta nel primo atto, quando il fattore nostalgia si contamina con gli spunti scenici e registici più evocativi. Meno ispirata, e a tratti persino anticlimatica, si fa la regia con il passare dei minuti e verso l'epilogo, mettendo in scena un'azione perlopiù confusa e lontana dalle coreografie spettacolari - seppur eccentriche - che più di 20 anni fa ci condussero in quel sogno meraviglioso.