Recensione Matrimonio a Parigi

Boldate d'oltralpe!

Recensione Matrimonio a Parigi
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Come già c'è stato modo di precisare su queste pagine, se Aurelio De Laurentiis ha fatto del Natale l'elemento cardine delle sue commedie interpretate da Christian De Sica che, puntualmente, invadono ogni anno le sale cinematografiche tricolori nella seconda metà di Dicembre, Massimo Boldi, a seguito della rottura del sodalizio artistico con il figlio del grande Vittorio, si è reso protagonista di una serie di prodotti da ridere dalla data d'uscita autunnale (se si esclude Olé di Carlo Vanzina, che venne distribuito contemporaneamente al Natale a New York Filmauro) e, soprattutto, caratterizzati da un argomento che li accomuna tutti: il matrimonio.
Quindi, dopo il pessimo La fidanzata di papà (2008) di Enrico Oldoini e il quasi sufficiente A Natale mi sposo (2010) di Paolo Costella, torna sotto la regia del figlio d'arte Claudio Risi - che già lo diresse in Matrimonio alle Bahamas (2007) - per questa nuova produzione Medusa in cui veste i panni di un milanese doc che vende i prodotti della sua fabbrichetta su una piccola emittente televisiva affiancato dalla moglie Paola Minaccioni, la quale, oltre a fargli da sguaiata valletta, lo consiglia su come evadere il fisco in tutti i modi. Senza immaginare, però, che il napoletano Biagio Izzo a cui, durante il viaggio in treno per andare a Parigi ad assistere alla consegna del diploma del figlio Emanuele Bosi, confessa compiaciuto di non pagare le tasse, non solo sia il padre di Guglielmo Scilla, compagno di studi del ragazzo presso l'Institut de Art et design de Paris, ma svolga l'attività di finanziere.

Il tocco (trash?) della Medusa

Da qui, con Anna Maria Barbera nel ruolo della moglie di Izzo e il mai disprezzabile Massimo Ceccherini in quello del socio toscano - che si chiama Leonardo Pieraccioni (!!!) - di Boldi, prendono il via circa 94 minuti di visione destinati a tirare in ballo anche gli sposati tassisti romani Enzo Salvi e Loredana De Nardis, a quanto pare incapaci di avere figli, e, soprattutto, uno stilista francese cui concede anima e corpo un Rocco Siffredi una volta tanto lontano dall'hard.
Ed è proprio l'inserimento di quest'ultimo all'interno di quella che si presenta nelle vesti di commedia indirizzata alle famiglie a testimoniare per primo una certa, grottesca follìa che nel panorama cinematografico italiano sembra essere assente da circa tre decenni, quando magari trovavamo una pornostar del calibro di Marina Hedman nei film del maresciallo Giraldi/Tomas Milian.
Perché in questo Boldi-movie proprio tutto appare tanto folle ed eccessivo quanto auto-calmante, dal già citato Ceccherini che consuma rapporti sessuali con manichini al fatto che l'emittente di cui è proprietario il protagonista si chiami TeleLecco (!!!); passando, ovviamente, per le volgarità talmente abusate dalla comicità d'inizio XXI secolo (citiamo soltanto l'immancabile urinata in pieno volto) da non apparire neanche più tali e fastidiose.
Con la risultante di un'operazione che, comprendente nel cast anche la Diana Del Bufalo di Amici e una Raffaella Fico tutt'altro che indispensabile, sarà probabilmente capace di strappare risate a pochi, ma appare messa in piedi da Risi senza annoiare mai lo spettatore e rispecchiando quel rivalutato trash su celluloide un tempo relegato alla serie b - e anche c - cinematografica, oggi invece sfornato da un grande e importante marchio come quello di Medusa. Che ci si possa trovare addirittura una valenza socio-politica in tutto ciò?

Matrimonio a Parigi La prima domanda che ci si pone quando arriva nei cinema un film che ha per protagonista un re della comicità tricolore del calibro di Massimo Boldi è se faccia ridere o no. Nel caso di Matrimonio a Parigi è veramente difficile rispondere, perché avrete modo di sfoggiare la vostra bella dentatura se ancora vi piacciono le tipiche storpiature verbali di Anna Maria Barbera, le ormai datate battute degne delle commedie con Totò e Peppino e, ovviamente, l’immancabile - ma in fin dei conti innocuo - pizzico di volgarità (più visiva che verbale, però). Eppure, senza eccellere, il baraccone funziona a dovere, decisamente meglio rispetto alla maggior parte dei Boldi-movie post-separazione da Filmauro. Lasciando, una volta terminata la visione, l’impressione di aver appena assistito ad uno di quei folli, surreali prodotti comici tricolori che, un tempo bistrattati dalla critica, hanno finito per identificare nell’apparentemente dispregiativo aggettivo “trash” il loro reale punto di forza.

6

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