Recensione Martyrs

Non potere dire di aver mai visto un horror, se non avete visto Martyrs.

Recensione Martyrs
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Pascal Laugier è uno dei nuovo campioncini dell'horror. Sa tutto quello che c'è da sapere sull'argomento. La prova definitiva sarà la regia del prossimo Hellraiser, assegnata per l'appunto a lui. Ma già con questo Martyrs, presentato nella sezione "Altro Cinema" della terza edizione del Festival del film di Roma 2008, il regista francese ha esperito molte delle soluzioni terrificanti preparate nel suo laboratorio, tra cui la finale dedica - impegnativa - a Dario Argento. Siamo nella Francia del 1970 quando una fanciulla scomparsa (Mylène Jampanoi) viene ritrovata in stato catatonico. In ospedale avrà modo di conoscere una delle compagne di stanza, Anna (Morjana  Alaoui), anch' ella con un passato recente di violenze. Passano quindici anni, arriva il momento della vendetta, ma la vera crudezza inizierà solo adesso...Crudezza è la parola più adeguata. Questo di Laugier passerà per essere uno dei film più violenti quantomeno degli ultimi tempi. Un'efferatezza davvero realistica, intensa, senza sconti, nudamente diretta, ovviamente censurata. Il ritmo del lavoro è incalzante, l'autore ci fa subito entrare nella troposfera del film, quando ancora lo spettatore sta guadagnando l'attenzione coi titoli di testa, si ritrova destabilizzato in una rullo seriale di fotogrammi al vetriolo che detonano una rappresentazione del dolore fisico, come detto, iper-realistica.Ma questa seconda fatica del regista transalpino, che ben differisce dal tiro ghoticheggiante del suo primo Saint Ange, non è una mera dimostrazione di forza cruenta, ma un esempio di coltura anche psicologica. La precoce maturità di Laugier sa perfettamente muoversi subdolamente tra le sottilissime fibre del senso di colpa femminile, del rancore nutrito da anni; continuando a disorientare lo spettatore al quale non sono concessi mai certezze narrative: tutto cambia, anche velocemente, in una sintesi di tensione che spazia dal misterioso, al fantastico sino allo splatter. Lo scorrere del lavoro è spiazzante, disseminando e suggerendo per poi smentire, costruendo gradualmente questo cupo àndito. Non si può quindi non apprezzare la maestranza con la quale il regista riesce a compattare tutto in una costruzione complessa, a spanne macchinosa, senza però accuse di toni calanti, grazie ai fiumi di sangue capaci di colpire il fruitore non solo per la nuda brutalità, ma anche per il suo risvolto più intimo, effetto possibile grazie ad un accorto uso della musica di grande atmosfera.Anche la sceneggiatura è notevole. Una vera e propria apologia del martirio viene qui squadernata dal regista factotum. L'orrore inscenato sarà altresì l'abisso che sottende la storia della due protagoniste e l'incontro diretto con esso per giungere alle sequenze finali che daranno un nuovo senso cinematografico alla parola "male". Questi non è incondizionato e soffuso come spesso viene rappresentato, ma calcolatore, puntuale nell'esperimento del proprio piano che è quello della più nera natura umana, incutendo in tal modo anche un valore di pensiero al lavoro, che non si consuma in un più o meno recidivo esempio di cruentezza a sè stante.

Un'apologia del martirio

E' un'estetica del martirio come poche volte si era veduta, abbinata ad un'ideologia del dolore insostenbile agli occhi ed alla mente. Sicuramente la proposta fa strizzare le pupille e sicuramente spazza via la ripetitività di un genere che originale non lo è mai. Quindi niente a che vedere con i soliti kolossal del cinema nero fatti in Hollywood, nessun rifacimento, scarsa proclività alla convenzione che addirittura, secondo non pochi, segnerebbe una seria svolta nella storia del dell'orrore. La svolta estetica sta nella capacità di far assorbire la violenza nella natura umana, è un passaggio capitale, poichè solitamente in questi film si tende a mostrificare, a rendere estremo, quindi distante dalla realtà, simili invenzioni cruente. Qui no. Per questo motivo risulta un lavoro di difficilissima assimilazione, proprio perchè il regista adduce questa osmosi tra brutalità e uomo che solitamente si ricusa sbolognandola, o meglio razionalmente cesellandola, nel simbolo del mostro. Pertanto non può esserci una pertecipazione emotiva dell'aspettatore che non si immedesima, ma una presa di coscienza tutta da metabolizzare.Le sensazioni di sporcizia e spaesamento ne sono corredi esemplari. I demoni dell'inconscio le invenzioni più nette.Parallela è la tecnica cinematografica che non conosce filtri. Una scena lucida foriera di una morte accettata, valore più alto attraverso la quale sperare in una salvezza...ma sarà bene non aggiungere null'altro circa i risvolti definibili financo soteriologici.Gli agganci alla realtà quotidiana sono tutti da pesare con la nostra tara personale.

Un film per nessuno

Di contro c'è chi ha sostenuto essere una marchetta di genere che tentasse di coniugare la perversa profondità del più cupo cinema asiatico con l'impatto di quello occidentale; c'è chi ha sostenuto la pianificazione di uno scandalo filmico da bassa macelleria con una compiaciuta patologia, eccessivamente esibizionista. Non sono da escludersi macchinazioni di questo calibro, ma ciò non diminuisce l'impatto del lavoro e se per alcuni versi può sembrare un po' stucchevole questo finale trattato apolegetico sul martirio più ascetico e più sofferto, certo non deroga alle attese dello spettatore che usualmente si nutre di queste pellicole, anzi...le rinsangua, sino a voler auspicare una fine rapida, che non passi attraverso le varie fasi dell'oppressione, che freme per chiudere velocemente i conti con questa ferocia. Verrebbe da dire che Martyrs non solo non è un film per tutti, ma che forse... non lo è per nessuno.

Martyrs Particolarmente angosciante, quasi inaccettabile nella sua totale incapacità di trovare delle soluzioni al caos. Martyrs é secco, i colori sono freddi e sottolineano alla perfezione l’atmosfera asettica del film. Non si può fare altro che ricordarsi continuamente che ciò che si vede è un film, una finzione...

7.5

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