La figura di Marie Curie era destinata a essere raccontata e rielaborata in diverse versioni, per via del ricco materiale che la vita della fisica e chimica polacca, a cavallo tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo, poteva offrire. La scienziata, naturalizzata francese, vincitrice di due premi Nobel (è stata allo stesso tempo la prima donna a riceverlo e la sempre la prima a ottenerlo per due volte e per due aree distinte), è stata già omaggiata in titoli per piccolo e grande schermo. Il più famoso rimane probabilmente quello del 1943 diretto da Melvin LeRoy, e nei prossimi mesi uscirà anche un nuovo biopic d'eccellenza a opera della regista iraniana Marjane Satrapi (l'autrice di Persepolis e Pollo alle prugne) nel quale Rosamund Pike vestirà i panni della fisica.
Il Marie Curie qui oggetto di recensione è invece frutto di una co-produzione europea tra Francia, Germania e Polonia, firmata nel 2016 da Marie Noëlle. La regista tenta di coniugare l'affresco umano con uno sguardo alle incredibili e rivoluzionarie scoperte della scienziata, compiute in un periodo storico dove la figura della donna era sempre e comunque in secondo piano rispetto a quella dell'uomo.
Una donna determinata

All'inizio del film Marie Curie è reduce dalla vittoria del premio Nobel per la fisica, condiviso con il marito Pierre Curie e Antoine Henri Becquerel, per i suoi studi sulle radiazioni. Siamo nel 1903 e niente potrebbe andare meglio per la coppia di luminari, che nel frattempo sta continuando le proprie ricerche scientifiche. Tre anni dopo ha però luogo una tragedia che segnerà per sempre la vita della protagonista: Pierre muore infatti in un tragico incidente, investito da una carrozza, e Marie si trova da sola a portare avanti i suoi studi in una realtà dove la figura femminile era ancora messa in secondo piano.
La protagonista deve così lottare contro tutti pur di portare avanti le sue rivoluzionarie idee, riuscendo a ottenere una cattedra alla Sorbona. Nonostante in molti riconoscano il suo genio, tra cui personalità d'eccellenza come Albert Einstein, Marie viene vista ancora con sospetto e diffidenza dalle aree più conservatrici. La nascente relazione passionale con il collaboratore e amico di famiglia Arieh Worthalter, un uomo sposato, rischia di metterla in cattiva luce di fronte all'opinione pubblica e comprometterne indelebilmente la carriera.
Amore e scienza
L'approccio è quello di un biopic classico, lineare nel procedere narrativo degli anni e dei tormentati eventi che riguardano la protagonista. Nonostante qualche ispirato sprazzo visionario, presente soprattutto nella prima parte, lo scopo dell'operazione ha un sapore più divulgativo che di ampio respiro cinematografico. I buoni spunti iniziali si appiattiscono su abusate, e talvolta gratuite, note melò nella seconda metà del film. Marie Curie ha il merito di porre l'attenzione su una personalità determinante per la moderna radiologia e su una donna che, oltre alle sue incredibili scoperte, è stata anche una sorta di simbolo e apripista per il gentil sesso in un periodo dove la scienza era ancora campo esclusivo degli uomini.
La sceneggiatura si rivela maggiormente incisiva nella caratterizzazione professionale delle varie figure coinvolte, rischiando in più occasioni di scadere in un facile sentimentalismo quando prende il via lo scomodo ménage à trois, vero e proprio punto debole di un'operazione altrimenti gradevole.
La regista sembra risentire dello sbilanciamento narrativo e, dopo averci offerto sequenze originali e accattivanti, tra split-screen e passaggi onirici magistralmente supportati dalla colonna sonora, finisce per cedere a una serie di ingenuità inaspettate.

La protagonista Karolina Gruszka è comunque ottima nel dar vita a un personaggio determinato e tormentato, pronta a mettere tutta se stessa al servizio della scienza e dell'umanità senza dimenticare il proprio lato più irrazionale e passionale. Molti limiti di sceneggiatura infatti sono abilmente messi in secondo piano dalla sua intensa interpretazione.