Recensione Manto Acuifero

Dal Messico un'opera che inquadra il dolore della separazione nello sguardo impotente di un bambino

Recensione Manto Acuifero
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Trasferitasi da poco in una nuova casa con sua madre e il di lei compagno, la piccola Carolina (detta Caro) si troverà (impotente) a fare i conti con una realtà che non riesce ad accettare: la separazione dei suoi genitori e la lontananza dal padre, un entomologo dal quale la piccola ha appreso la passione per l'osservazione della natura e dei suoi ‘abitanti'. E il processo di (dis)adattamento della bambina in quel luogo assai distante dai suoi ricordi (geograficamente più a sud della vecchia casa a Città del Messico ed emotivamente lontano dalle immagini della sua ‘famigliare' vita di prima), passerà attraverso la ricostruzione di un mondo privato dove continuare a vivere il proprio sogno affettivo, sempre più recalcitrante ad accettare la figura di Felipe (il nuovo compagno della madre) e quella vita che non riesce a sentire sua. Nella rielaborazione necessaria di un legame col passato, fondamentale per Caro sarà la presenza del grande giardino della nuova casa, popolato di mille insetti e un pozzo poco profondo che la bambina (dismesse bambole e comuni 'cose' da bambina) eleggerà a suoi passatempi preferiti. Ma il lento incedere verso un mutismo affettivo che includerà a poco a poco anche la madre (amata eppure ritenuta colpevole del nuovo stato di cose) sarà per la piccola causa di un malessere interiore e un'incapacità di metabolizzare il dolore destinati (col tempo) a venire rabbiosamente fuori.

Lontano dall'amore e dal dolore

Film messicano in concorso alla ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, Manto Acuifero dell'australiano Michael Rowe rappresenta il secondo film di una trilogia incentrata sulla solitudine (il primo è Año Bisiesto vincitore della Camera d'Or a Cannes nel 2010). Più nello specifico, Manto Acuifero è un film che affronta un tema più che mai attuale nelle società contemporanee (ovvero quello delle separazioni) centrando con grande efficacia la crescente reazione di estraniamento dal mondo circostante che può maturare in simili contingenze. Non solo, il film centra molto bene anche la sensibilità e la metodicità con cui la piccola protagonista tenterà di adoperarsi pur di non recidere il suo legame con un padre che sembra esser diventato per lei sempre più effimero e quasi un tabù. Queste premesse saranno il lasciapassare alla privatizzazione di una rottura sentimentale che si estrinseca attraverso la paura, l'autoreclusione a un mondo non-parlante e la lenta genesi della violenza interiore destinata a colmare quel silenzio. La narrazione di Rowe sceglie un binario narrativo unico, preciso, senza sbavature di sorta e sostenuto da una regia che inquadra lo sguardo di Caro su quella vita ostile con una così precisa simbiosi da accompagnarci per mano nella scoperta del suo mondo. E in questo senso, i dettagli degli insetti, l'infrazione del divieto, la tesa curiosità verso le parole dei ‘grandi' delineano perfettamente lo stato pisco/emotivo di una bambina ancora piccola ma già dotata di una forte personalità e troppo consapevole per poter archiviare e/o ‘dimenticare'. Se il film appare incomunicativo è, di fatto, lontano dall'esserlo perché Rowe lavora con precisione a inquadrare (e dunque comunicare) il germe dell'anaffettività, il processo che porta all'istintivo distacco da quel mondo di sentimenti che ha generato tanto dolore. Estremamente funzionale in questo l'interpretazione della piccola Zaili Sofia Macias, intensa nel suo essere con il corpo e con lo sguardo sempre più schiva e insofferente nei confronti di tutto ciò che la circonda.

Manto Acuifero L’australiano Michael Rowe (Año Bisiesto) presenta in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma Manto Acuifero, la nitida fotografia di quella che è (o può essere) la genesi dell’anaffettività. Attraverso la piccola protagonista Caro e l’evasione verso un mondo lontano dagli affetti veri e (dunque) dalla sofferenza, Manto Acuifero rappresenta un interessante ‘luogo’ di riflessione su quello che le separazioni ‘adulte’ provocano nelle fragili ma già ‘reattive’ menti ‘bambine’.

7.5

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