Recensione Mangia Prega Ama

Julia Roberts alla ricerca di se stessa tra cibo e meditazione.

Recensione Mangia Prega Ama
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Mangia, prega, ama... tre imperativi che messi uno di fianco all'altro possono assumere qualsiasi significato. Dal consiglio spassionato di un amico alla dottrina filosofica, dalla ricetta per la felicità alla lista delle cose da fare entro la fine della giornata. O in questo caso può trattarsi di tutte queste cose contemporaneamente e del titolo della nuova pellicola di Ryan Murphy.

Liz (Julia Roberts) è l'immagine della perfetta donna moderna: ha un marito che la ama, una casa tutta sua e una carriera di successo. Eppure è estremamente insoddisfatta e alla continua ricerca di cosa vuole sul serio dalla vita. Così riapre la scatola dei suoi desideri per vedere che cosa contiene: vecchi ritagli di articoli riguardanti i posti nel mondo che ha sempre voluto visitare. Abbandona la sua apparente stabilità e, dopo aver chiesto il divorzio, decide di allontanarsi da tutto e tutti e partire all'insegna di un viaggio intorno al mondo: in Italia per imparare a mangiare, in India per meditare e a Bali per incontrare nuovamente un vecchio sciamano e ritrovare il proprio equilibrio.

Siamo tutti Liz

Mangia Prega Ama è tratto dal romanzo di Elizabeth Gilbert che, con il suo stile schietto e avvincente, è diventato un bestseller in moltissimi paesi e ha dimostrato che non esiste un modo univoco di amare la vita e girare il mondo. Nonostante la protagonista, Liz appunto, compia realmente un viaggio in giro per il mondo, il fulcro della storia è più emotivo e psicologico e per questo comprensibile a un più ampio raggio di spettatori. Immedesimarsi in questa donna insoddisfatta ma non per questo distrutta, forte e desiderosa di trovare un equilibrio a tutti i costi, ma comunque fragile come ogni essere umano, è terribilmente facile e istintivo. In proporzioni diverse tutti dentro abbiamo le stesse pulsioni di Liz, solo le affrontiamo in maniera differente. "All'inizio del film Liz è un po' sfatta", sostiene Julia Roberts, "ma senza un motivo preciso. È una persona che ama viaggiare, ha sempre viaggiato e per lei fare i bagagli è istintivo. Ovviamente non tutti saprebbero fare quello che fa lei, ma non si tratta di questo in realtà. È divertente osservare lei che nel film attraversa il mondo, ma in realtà si tratta di un suo viaggio interiore alla ricerca di ciò che vuole veramente dalla sua vita".

Persi in un viaggio

Il viaggio comincia e si conclude a Bali, componendo così un cerchio che già di per sé conferisce una forma di equilibrio. Quattro città a rappresentanza dello stato umano e di come questo possa evolversi. New York è la base madre, quella dove risiedono le radici di Liz, tutto il suo passato e le sue certezze. Il posto dove si vuole essere ma dal quale bisogna necessariamente fuggire. Dove andare allora? L'apparente ricetta della felicità sembra nascondersi in tre principi fondamentali: imparare a mangiare, pregare e amare. Un viaggio lungo un anno diviso in tre tappe indispensabili. A Roma inizia il nutrimento spirituale di Liz, metaforicamente rappresentato attraverso il cibo. Un'americana, e quindi per stereotipo rinchiusa dentro la sua frenesia costante, che decide di passare il tempo godendosi il semplice piacere di mangiare, filosofeggiare con gli amici e dedicarsi al dolce far niente, la filosofia che sembra dominare nel Bel Paese. Tra vicoletti, pranzi tipici e gente modellata alla perfezione su preconcetti e luoghi comuni, Liz prende improvvisamente coscienza della gioia delle altre persone. Dopo aver imparato così che può ancora amare la vita, sente il bisogno di tornare con i piedi per terra e cominciare ad affrontare se stessa. Si passa così all'India, uno dei posti più frenetici della terra eppure uno dei pochi in cui si può sul serio ritrovare la propria quiete. Il percorso non è per nulla facile, ma dopo i quattro mesi prefissati Liz è pronta per tornare a Bali e affrontare la sua paura più grande: l'amore.
Un calderone di esperienze e di persone che entrano nella vita della protagonista per brevi ma importantissimi momenti, unite a comporre il tema centrale dell'essere onesti verso se stessi. Un anno passato alla ricerca di se stessi condensato in circa 140 minuti di film. Un po' pochino si potrebbe dire... e invece, purtroppo, la lunghezza dell'esperienza la si avverte veramente tutta. Ryan Murphy, noto al pubblico soprattutto per i suoi recenti lavori televisivi (il controverso Nip/Tuck e il pluripremiato Glee), si perde nelle dimostrazioni visive delle piccole cose che permettono alla sua protagonista di evolversi. Fondamentali ma prolisse fotografie dei momenti più significativi di questo viaggio si susseguono, regalando da un lato immagini cromaticamente affascinanti ed esotiche, ma rallentando anche il ritmo generale della pellicola, che procede attanagliando lo spettatore alla poltrona, che sembra quasi risucchiarlo e anestetizzarlo. I rapporti sono tanti e veri, eppure non coinvolgono, non appassionano. La colpa non si può di certo imputare a un cast davvero eccezionale che da il meglio di sé nell'interpretazione dei personaggi. Da Julia Roberts, che regala alla sua Liz una vasta gamma di emozioni ed empatia, all'affascinante James Franco, carismatico e complesso, per terminare con un intenerito Javier Bardem e un eccezionale Richard Jenkins. Nessun personaggio in questo film è secondario e proprio per questo richiedono tutti un loro ampio spazio, più adatto però a essere ritagliato fra le pagine di un libro che in una pellicola cinematografica, trasformata così in una apnea, in una corsa senza fiato che lascia lo spettatore sempre un passo indietro alle vicende, cercando di metabolizzare il senso della vita della protagonista e di quello che sta vedendo.

Mangia Prega Ama Mangia Prega Ama, vale la pena di essere visto per il cast di bravissimi attori e per i posti mozzafiato che nelle oltre due ore di materiale permette di visitare. Eppure da una mente come quella di Ryan Murphy ci si sarebbe aspettati più brio e un pizzico di cinismo in più che forse avrebbero regalato alla pellicola quell'incisività necessaria a trasformarlo da un "troppo lungo viaggio" a una piacevola ricerca di se stessi.

5

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