Recensione Man in the Dark

Diretto da Fede Alvarez, regista del remake de La Casa nel 2013, Man in the Dark è una lieta sorpresa nel panorama thriller/horror contemporaneo.

Recensione Man in the Dark
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Prodotto da Sam Raimi, diretto da Fede Alvarez, già regista del remake de La Casa nel 2013, e scritto a quattro mani con Rodo Sayagues, Man in the Dark (Don't Breathe) è una lieta sorpresa nel panorama thriller/horror contemporaneo. La vicenda ruota intorno a un gruppo di giovani ladri, che una notte fa irruzione in casa di un uomo non vedente per sottrargli una grossa somma di denaro. Derubare un uomo privo della vista sembra un colpo apparentemente facile, ma l'impresa si rivelerà una vera e propria discesa in una spirale di inaspettata violenza pronta a non risparmiare nessuno. Amalgamando i topoi narrativi della caccia, tipici del thriller più classico, e le sfumature dell'horror d'atmosfera, Alvarez riesce con eleganza nel delicato intento di mostrare al pubblico il terrore di essere braccati senza essere osservati.

Nascosto nel buio


Il buio è una paura ancestrale, ed è spesso un timore che la crescita affievolisce solo in parte. Portare il pubblico a temere chi vive in una condizione di buio perenne, senza spettacolarizzare la cecità e senza scadere nell'inverosimile o nel paradossale, è la prima sfida vinta di uno dei thriller/horror più interessanti dell'anno. Partita come una vera e propria spedizione organizzata, la missione dei malcapitati rapinatori diviene una corsa a ostacoli nel disperato tentativo di uscire da una vera e propria trappola mortale nella quale il padrone di casa ha fatto di necessità virtù. E come spesso accade nei duelli più accaniti, i confini tra buoni e cattivi sfumano nella necessità di restare vivi: lo spettatore è continuamente chiamato a prendere le parti di individui eticamente indifendibili che, quando messi alle strette, legano inevitabilmente la propria morale al loro istinto di sopravvivenza. L'orrore, secondo Alvarez, può celarsi non soltanto in una casa demoniaca teatro di eventi soprannaturali, ma anche tra le quattro mura di un contesto urbano incredibilmente vicino alla nostra realtà. È anche per questo che , senza bisogno di alcuna sospensione dell'incredulità, Man in the Dark funziona: la cruda realtà, rispetto al soprannaturale, non limita la narrazione ma gli conferisce pathos e tensione drammatica. Altra sfida vinta è sicuramente quella di creare un'esperienza cinematografica completa, nella quale l'immagine va spesso a sostituire del tutto la parola: Alvarez gestisce al meglio la suspense soprattutto nelle lunghe sequenze nelle quali nessuno dei protagonisti può permettersi né di parlare né tantomeno di respirare. Catapultando il pubblico in un vero e proprio incubo terreno, nel quale tutto è orribilmente plausibile, Man in the Dark immerge lo spettatore in un mondo silente e mai quieto, buio ma mai del tutto oscuro, all'interno del quale tendere continuamente l'orecchio in un duello di nervi all'ultimo, mancato, respiro. Rovesciando continuamente i ruoli di vittima e di carnefice a seconda dei colpi di scena e rivelando sottotrame inaspettate, il film di Alvarez è un'elegante discesa negli inferi delle mancate responsabilità delle proprie azioni. Il risultato è brillante anche grazie alla direzione intelligente di un cast nel quale spicca un eccellente Stephen Lang: è lui a bucare lo schermo in ogni singola sequenza, pronto a sorprendere come un pipistrello notturno in un mare di ultrasuoni.


Man in the Dark Senza asserragliarsi in un fortino di soluzioni facili o di cliché ridondanti per spaventare il pubblico, il film di Fede Alvarez si giova di una scrittura equilibrata e asciutta, di una regia coinvolgente e mai sopra le righe e di un ritmo serrato fatto di soluzioni mai banali o prevedibili. Attorno a una trama semplice solo in superficie e con un uso sapiente del colpo di scena, Man in the Dark costruisce progressivamente una vorticosa spirale di terrore misto a inquietudine, svelando una vicenda più ampia del previsto e senza mai dimenticare di raccontare in maniera cruda e diretta la (dis)umanità dei suoi protagonisti.

8

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