Macchine Mortali, la recensione del film prodotto da Peter Jackson

L'adattamento cinematografico della saga letteraria di Philip Reeve si presenta visivamente dirompente ma pieno di cliché di genere.

Macchine Mortali, la recensione del film prodotto da Peter Jackson
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Il genere degli young adult sta mostrando ormai da tempo il fianco a idee stanche e ripetitive, soprattutto in termini di scrittura. Di base, quasi ogni prodotto del genere si basa su di un'omonima saga letteraria scritta nei primi del 2000, partendo da Twilight passando da Hunger Games e arrivando fino a Divergent o Maze Runner. Tutti questi progetti hanno in comune un sviluppo degli eventi che nel corso delle varie storie si presenta come ridondante ed esagerato, che sfocia in qualche guerriglia per il destino del mondo, in una totale presa di coscienza del protagonista o della protagonista e in una love story molto sentita, sia passionalmente che emotivamente. C'è anche un senso del drammatico esasperato per adeguarsi ai canoni ormonali dell'adolescenza, che è proprio il pubblico a cui poi questi romanzi e successive trasposizioni si rivolgono, senza però rinunciare a "piacere" ai più grandi.
Sono tutti cliché di genere che, un adattamento dopo l'altro, gli young adult sono riusciti poche volte a evitare nel comparto narrativo e di sviluppo psicologico dei personaggi, ma queste storie hanno anche in comune un aspetto generalmente positivo: creano mondi completamente nuovi, immaginifici e fantastici. E il Macchine Mortali di Philip Reeve, in questo, è forse uno dei libri che più di altri ha saputo rimodellare sotto una precisa grammatica steampunk l'universo narrativo d'appartenenza, tradotto adesso sul grande schermo in uno spettacolo visivo maestoso.

Darwinismo Urbano

La saga non è tra le più conosciute in Italia, ma è stata tradotta ed editata dalla Mondadori a partire dal 2004. Partendo da un'idea legata all'Olocausto Nucleare e alla Waste Land, le Terre Desolate alla Mad Max, Reeve ha reimmaginato nella sua creazione il futuro post-apocalittico figlio della distruzione nucleare. Come nel libro così nel film, ci troviamo in un futuro non meglio specificato, dove il 2118 è ormai storia antica. Il mondo è stato devastato dall'utilizzo di armi nucleari quantiche durante la cosiddetta "Guerra dei Sessanta Minuti", portando a enormi sconvolgimenti geologici nell'intera Crosta Terrestre, con continui terremoti, eruzioni vulcaniche e altre calamità.
Il mondo ha perso molta della conoscenza tecnologica acquisita, tornando a sistemi meccanici semplici - per così dire - e abbandonando quella che in Macchine Mortali è conosciuta come Old Tech, la vecchia tecnologia che viene bellamente rappresentata da un iPhone o persino da un tostapane, quest'ultimo addirittura reperto pregiato. Il mondo della saga, come spiegavamo, è vividamente steampunk, dai costumi ai colori fino alla struttura delle Città Trazioniste, che su schermo è reso alla perfezione dal lavoro di CGI e VFX, veri gioielli della corona di un film altrimenti fin troppo blando e scontato. Ma andiamo con ordine.

I continui disastri naturali dopo la Guerra dei Sessanta Minuti impediscono all'umanità di vivere in modo stabile e fisso in una città, che viene così ripensata dall'inventore Nikolas Quirke (che nel film non viene neanche presentato a dovere) per adattarsi al nuovo mondo. Arriva il così il Darwinismo Urbano, che nella sostanza rimodella la conformazione cittadina spostandola su di un meccanismo a ruote motrici, trasformandola in enormi veicoli semoventi, le Città Trazioniste appunto, di cui una delle più enormi è Londra. In un mondo quasi completamente desertificato, sono scomparse nazioni e confini, lasciando campo libero a queste città, vere e proprie predatrici a caccia di risorse.
Come funziona? Esattamente come nell'evoluzionismo darwiniano: vige la legge del più forte, in questo caso Londra, che imbattendosi in città commerciali trazioniste molto più piccole (le proporzioni sono quella di una balena un con cane), le "ingerisce", entrando in possesso delle loro risorse e inglobando nel nucleo cittadino gli abitanti. A resistere al dominio trazionista, nel mondo di Macchine Mortali, ci sono soltanto alcune città stazioniste, guidate dalla lega Anti-trazionista che tenta di superare il Darwinismo urbano.

La storia del film segue comunque due protagonisti principali: Tom Natsworthy (Robert Sheehan) ed Hester Shaw (Hera Hilmar), uno cittadino Londinese, l'altra ragazza misteriosa. L'adattamento diretto da Christian Rivers si apre con una delle opening scene più entusiasmanti e ipercinetiche dell'anno, lunga e intensa, pensata e sviluppata splendidamente. Funziona come una sorta di prologo pre-titolo e lascia elettrizzati, anche e soprattutto grazie al rendering visivo sontuoso e dirompente.
È uno spettacolo gigantesco che lascia senza fiato e fa ben sperare per il prosieguo del film, che in termini di resa grafica e azione si dimostra godibile e mediamente ben confezionato (con diverse scelte registiche più che opinabili, tipo l'utilizzo di un rallenty molto anni '90).

Prevedibile semplicità

Se Macchine Mortali è però pervaso da tutto l'ottimismo produttivo ed "effettistico" di Peter Jackson (che ha diretto alcune scene nella seconda unità), a livello narrativo il film è un vero campo minato. Non solo rispetta pedissequamente e senza troppa inventiva i cliché descritti in apertura, ma ha svolte nella storia assolutamente prevedibili e scontate sulle quali si giocano le intere due ore di durata. Il problema è comunque a monte, perché il mondo di Reeve - spettacolare anche su carta - non funziona in puri termini di scrittura, che si riduce a costrutti semplici, sviluppo narrativo accelerato e compatto e pochissime intuizioni brillanti, oltre all'ottima edificazione del mondo d'azione.
Se nel libro si approfondiscono comunque sufficientemente la figura di Quirk, dei Rinati o di altri personaggi o elementi costitutivi dell'Universo di Macchine Mortali, nel film tutto viene gettato nella mischia come se il pubblico dovesse già conoscere la saga letteraria, tirando in ballo espressioni o nomenclature in realtà sconosciute che tra l'altro non vengono neanche riprese nel procedere del film.

Il progetto funziona quando mostra l'accattivante caccia tra città o la guerra tra Trazionisti e Stazionisti, ma è proprio quando si tratta di soffermarsi sull'elemento narrativo che pecca di prevedibilità e scontatezza, riducendo l'intera portata del film. Gli unici personaggi a interessare e colpire per costruzione psicologica sono forse il Thaddeus Valentine di Hugo Weaving, in parte lo Shrike di Stephen Lang (visivamente esuberante) e la dinamica Anna Fang interpretata da Jihae. Il resto è il solito siparietto di protagonisti stra-noti e più o meno uguali.
Quando trazionista, alimentato dal motore action, Macchine Mortali si dimostra un film generalmente vincente, spesso davvero incalzante e dal climax studiato, ma viene costantemente ridimensionato e combattuto dalla sua parte stazionista, fatta di dialoghi inconcludenti, passaggi snervanti e plot twist tutt'altro che d'effetto.
Puntando a un film totalmente ipercinetico alla Mad Max, vi assicuriamo, a quest'ora avevamo uno dei migliori action movie dell'anno.

Macchine Mortali L'adattamento cinematografico di Macchine Mortali vive una crisi di identità molto particolare. Rifacendoci alla nomenclatura del film, quando trazionista, spinta da un preciso motore action e da effetti speciali stupefacenti, la trasposizione funziona egregiamente, tra caccia alle città e guerriglie "urbane" nelle wasteland, ma è nella sua parte stazionista che la portata del film si ridimensiona enormemente. Il comparto narrativo soffre nel profondo di molti cliché di genere, mentre le svolte nella storia risultano fin troppo scontate e semplici, soprattutto in virtù del fatto che ci si gioca l'intera durata dell'adattamento. Un film che piacerà sicuramente agli amanti dello steampunk e che lascerà diverse gioia visive da ricordare, ma si poteva fare molto, molto di più.

6

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