Recensione Lucifer

Il viaggio di Lucifero dal Paradiso all'Inferno nell'opera visionaria di Gustav Van den Berghe

Recensione Lucifer
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Il regista belga Gustav Van den Berghe presenta il suo Lucifer, un'opera dall'estetica figurativa che fonde elementi biblici e metafora sociale in un racconto accattivante ma eccessivamente criptico. Caduto nel suo viaggio tra Paradiso e Inferno, Lucifero finisce in Messico nella piccola cittadina di Paricutin. Lì conosce Lupita e sua nipote Maria, due donne povere che vivono in una umile baracca e sono dedite al pascolo delle pecore. Insieme alle due donne vive anche Emanuel, fratello di Lupita rimasto allettato dopo un incidente sul lavoro; un'invalidità che è in realtà una messinscena per dedicarsi al gioco d'azzardo e all'alcool. Lucifero (entità a metà strada tra angelo e demone) sfrutterà la conoscenza di quest'elemento per assumere il ruolo di guaritore miracoloso. Rimesso in piedi il subdolo Emanuel, Lucifero verrà infatti osannato e festeggiato come un angelo del bene capace di veri e propri miracoli. Ma fedele al suo ruolo di tentatore, il passaggio di Lucifero attraverso quel piccolo paradiso rurale, manifesterà soprattutto la sua natura luciferina con la quale sedurrà Maria (lasciandole in grembo il suo seme) e facendo inoltre vacillare la fede di Lupita. Eppure, la volontà di Lucifero di portare sventura in quel piccolo mondo non sarà del tutto esaudita; il suo ‘operato' riuscirà infatti solo a tracciare quella linea di confine tra Bene e Male prima invisibile agli occhi della comunità.

Tra Inferno e Paradiso

Strutturato in tre atti (Paradiso, Peccato e Miracolo) e contraddistinto da un'inquadratura tonda (un tondoscope che sfrutta quella geometria circolare nella rappresentazione dell'universo e della cosmogonia dantesca del regno dei Cieli) che ne ‘circolarizza' la narrazione, Lucifer del giovane regista belga Gustav Van den Berghe è sostanzialmente una rivisitazione visionaria e onirica della figura di Lucifero e del contrasto tra Paradiso e Inferno intesi nella classica dicotomia tra Bene e Male. "Ogni giudizio è inutile. Sempre." Questa è la riflessione dalla quale parte Lucifer per (de)costruire poi lo stato di un microcosmo in cui sarà proprio l'entrata in scena del giudizio a scombussolare l'equilibrio della piccola comunità. Allacciato a riferimenti biblici (l'idea di paradiso, inferno, peccato) da un lato ma anche prettamente sociali e attuali dall'altro (l'esaltazione del salvatore e l'ostracizzazione del peccatore stabiliti in base a congetture del tutto superficiali) l'opera del regista belga indaga il rapporto tra realtà terrena e spirituale con una cifra stilistica del tutto particolare e una ricerca estetica che ha più attinenza con l'idea di un'opera pittorica in movimento piuttosto che con un'opera prettamente cinematografica. Sperimentale sin dalla scelta di un'inquadratura rotondeggiante assai peculiare, e dall'opzione di una linea stilistica che predilige la conformità estetica a quella narrativa, Lucifer risulta essere un'opera ricca di spunti e di simbolismi che non riescono però a convogliare verso un film di senso compiuto. Quasi come un flusso di coscienza scandito dalla pienezza e dalla placidità delle immagini, l'opera di Van den Berghe ha il suo pregio maggiore nelle trovate satiriche e grottesche che ne movimentano l'idea narrativa di base. Resta, in ogni caso, un prodotto difficile da decodificare e metabolizzare in quanto poggiato su una discontinuità narrativa tipica di quelle opere in cui l'evoluzione narrativa è data prettamente dalle proiezioni e suggestioni personali del regista.

Lucifer Il giovane regista belga Gustav Van den Berghe presenta a Roma il suo Lucifer, opera che rappresenta una rivisitazione della cosmogonia dantesca a metà tra il serio e il faceto. Inserendo frammenti satirici e quasi grotteschi all'interno di una parabola che mette in scena il personaggio di Lucifero e il suo ruolo nella definizione della linea di confine tra Bene e Male, Van den Berghe realizza un’opera originale ed in qualche modo eversiva che manca però di arrivare allo spettatore per la sostanziale mancanza di una definizione narrativa di facile fruibilità.

5.5

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