Recensione London river

Recensione del sesto lungometraggio diretto da Rachid Bouchareb

Recensione London river
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Con il volto di Brenda Blethyn, candidata al premio Oscar per Segreti e bugie (1996) e Little voice-E' nata una stella (1998), Elizabeth è una donna inglese di mezza età che, vedova di un eroe di guerra, coltiva la terra e alleva asini su un'isola britannica.
Interpretato dal Sotigui Kouyaté di Little Senegal (2001), invece, Ousmane è un uomo di colore che da anni lavora in Francia come giardiniere.
Sono loro i protagonisti del sesto lungometraggio diretto dal francese Rachid Bouchareb, autore proprio della citata pellicola con Kouyaté, destinati ad incrociarsi sulle strade di una Londra multietnica dopo aver saputo degli attentati terroristici del 7 luglio 2005, la prima in cerca della figlia ventenne, il secondo intento a ritrovare il figlio Alì, che non vede da quando aveva sei anni.
Protagonisti che, al di là di differenze e pregiudizi reciproci, finiscono per essere avvicinati dal dolore comune, soprattutto dopo aver constatato che la ragazza e Alì si amavano e vivevano insieme.

Parola di Rachid Bouchareb

Nei miei film si parla sempre di incontri fra persone diverse, che vengono da nazioni diverse e mondi diversi. Il tema dell’incontro è sempre centrale nei miei film perché i personaggi sono sempre in viaggio. E questo fenomeno passa dai personaggi agli attori. Trovo affascinante il concetto di incontro fra Sotigui Kouyaté, un attore africano, e Brenda Blethyn, un’attrice inglese - al di là del fatto che fossero amici, è un incontro umano di due persone di diverse nazionalità, religioni, universi. Ti permette di andare oltre l’incontro cinematografico e porta il film a un livello di verità sull’incontro delle due diverse culture di questi individui.

Così lontani così vicini

Infatti, parte proprio dalla notizia degli attentati terroristici londinesi del 2005 London river, generando fin dai primi minuti di visione una certa tensione dovuta all'attesa che viene a crearsi dal momento in cui lo spettatore comincia ad essere desideroso di conoscere quale destino sia toccato alla figlia di Elizabeth.
Attesa destinata ad estendersi per l'intero film, soprattutto dopo che Alì, come la ragazza, comincia ad essere ricercato dal padre, del quale seguiamo il lungo e disperato percorso intrapreso insieme alla donna, tra amore, speranza e vulnerabilità.
E, la Blethyn, che abbiamo avuto modo di apprezzare anche nel riuscito Il matrimonio è un affare di famiglia (2007) di Cherie Nowlan, è ottima come di consueto, qui spalleggiata da un Kouyaté decisamente all'altezza, tanto da essersi aggiudicato proprio per questo ruolo l'Orso d'argento presso il Festival di Berlino.
Sebbene l'insieme si lasci tranquillamente seguire grazie all'attesa di cui sopra, a penalizzarlo in parte sono forse gli eccessivamente lenti ritmi di narrazione, tipici delle produzioni indipendenti inglesi come pure la fotografia priva di forzature che tanto contribuisce a ricordare lo stile alla base dei documentari.
Aspetto, quest'ultimo, di cui il regista osserva: "Dopo la precisione che aveva richiesto Indigenes, su questo film volevo totale libertà. Mi volevo dimenticare dell'estetica cinematografica, non ne volevo sapere delle questioni tecniche. Tutto quello che mi preoccupava erano i personaggi. Avevamo un quartiere di Londra, due attori, quindici giorni e lavoravamo giorno per giorno. C'era poca luce e una piccola troupe. Non avevo l'obbligo di passare molto tempo a preparare le scene, a provare. E' stato molto gradevole poter la vorare così, con pochissima preparazione. Infatti la settimana precedente l'inizio delle riprese ero a Cannes, dove facevo parte della giuria. Da lì sono andato direttamente a Londra per cominciare a girare. Non ho pensato al film fino a quel momento, sono arrivato lì con la testa libera. Il risultato è stato che tutto, riprese e film, è venuto molto spontaneo e molto intimo".

London river Il sesto lungometraggio diretto dal francese Rachid Bouchareb è un film sull’amore, la speranza, la vulnerabilità e su un’umanità che getta le sue radici in un senso di comunità e fratellanza che supera la religione e viene dalla condivisione delle stesse sofferenze, delle stesse gioie, uguali per tutti, della stessa terra. La storia dell’improvvisa unione tra due persone di razza diversa che, costruita su ritmi di narrazione forse eccessivamente lenti, si lascia comunque seguire, grazie in particolar modo alla bravura dei protagonisti.

6

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