Logan - The Wolverine: la recensione del film con Hugh Jackman

L'attore australiano si congeda dal ruolo che ha definito la sua carriera attraverso un film, quello di James Mangold, struggente e appassionante

Logan - The Wolverine: la recensione del film con Hugh Jackman
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Sono passati quasi diciassette anni dall'uscita del primo X-Men, diretto da Bryan Singer e arrivato nelle sale americane il 14 luglio 2000 (in Italia è uscito qualche mese dopo, il 27 ottobre). Un lungometraggio non privo di difetti (lo stesso Singer ha successivamente affermato che conteneva il materiale introduttivo necessario per poter raccontare la storia che gli interessava veramente con X2), ma che rimane importante per tutta una serie di motivi, principalmente per aver contribuito - insieme allo Spider-Man di Sam Raimi - alla riabilitazione dei film di supereroi dopo il fiasco di Batman & Robin, e per aver lanciato la carriera cinematografica di Hugh Jackman, attore australiano che dopo una lunga esperienza teatrale e televisiva si è imposto sul grande schermo nei panni di Wolverine. Nel giro di pochi minuti, vedendo X-Men, si capisce che Jackman era l'unica scelta logica - tralasciando dibattiti nerd su dettagli come l'altezza del personaggio - per la parte dell'irascibile mutante canadese, affetto da amnesia e costretto a convivere ogni giorno con atroci dolori, fisici e psicologici. Un ruolo gratificante, ma anche molto impegnativo e, per forza di cose, destinato a non durare in eterno (Wolverine invecchia molto lentamente, Jackman a un ritmo più umano). Eccoci arrivati, dunque, al capolinea: Logan: The Wolverine, un lungo, potente requiem per la prima incarnazione cinematografica di uno dei personaggi più amati del fumetto americano.


Giorni di una Futura Apocalisse

Diretto ancora una volta da James Mangold, già in cabina di regia per Wolverine: L'immortale nel 2013, il terzo stand-alone sul mutante con gli artigli di adamantio è ambientato nel 2029, sei anni dopo il futuro riscritto al termine di X-Men - Giorni di un futuro passato. I mutanti sono quasi estinti, e gli X-Men non esistono più. Sono rimasti solo Wolverine (o meglio, Logan), che lavora come autista, e Charles Xavier (Patrick Stewart), novantenne e affetto da una malattia degenerativa che rende potenzialmente letale la sua telepatia. Isolati dal mondo che li circonda, i due vecchi amici non fanno altro che aspettare la fine. Poi un giorno fa capolino una ragazzina di nome Laura, il cui legame con Logan è il motivo per cui può ancora esserci una speranza per la razza mutante. Tale speranza dipende però dalla sopravvivenza di Laura (è lei la potente X-23), motivo per cui l'uomo che fu Wolverine dovrà sfoderare di nuovo gli artigli e vedersela con l'organizzazione malvagia di turno.

L'umanità prima di tutto

Già dal titolo - Logan - The Wolverine - che si contrappone a quelli dei due precedenti lungometraggi sulle gesta in solitario del protagonista, è evidente l'intenzione di concentrarsi sull'aspetto meno "super" del personaggio: questo è un Logan invecchiato, malconcio (il fattore rigenerante c'è ancora, ma l'efficacia è diminuita col passare degli anni), tormentato da una vita passata all'insegna della violenza, come Alan Ladd ne Il cavaliere della valle solitaria o Clint Eastwood ne Gli spietati. Due paragoni tutt'altro che casuali, poiché Mangold ha impostato Logan come un western crepuscolare, tra paesaggi desertici, luci intense e malinconiche e scelte musicali che non assoceremmo ad un blockbuster (i titoli di coda sono attraversati da The Man Comes Around di Johnny Cash), senza contare il rimando diretto al già menzionato film di George Stevens che appare su uno schermo televisivo. Un mondo brutale, più del solito, ma al contempo collocato in un contesto cinematografico riconoscibile, con un'inevitabile battaglia finale che a grandi linee non si discosta troppo dagli stilemi riconosciuti del genere, forse per paura di alienare quella parte di pubblico che, per quanto aperta ai cambiamenti, si aspetta qualcosa di familiare anche dall'ultima avventura di Wolverine.

Il migliore in quello che fa

Per espresso volere di Jackman, Logan - The Wolverine è un film per lo più autoconclusivo, fruibile senza aver (ri)visto gli episodi precedenti e privo di elementi apertamente volti a porre le basi per il futuro (anche perché, vista la cronologia, avrebbe poco senso continuare da qui). Al contempo però ci troviamo di fronte ad un film esplicitamente concepito - a partire dal divieto ai minori di 17 anni negli Stati Uniti - per un pubblico abbastanza specifico, quello che ha seguito l'attore nel corso della sua evoluzione nei panni di Logan, un viaggio durato quasi vent'anni e nove film (anche se in due casi si trattava di camei). L'ultima tappa è sì calibrata per i neofiti, ma a livello emotivo la violenza, le risate (sì, ce ne sono, spesso e volentieri) e le lacrime associate al congedo artistico di Jackman dal ruolo che lo ha reso una star funziona soprattutto se si conosce la saga dal principio. Un elemento che in alcuni punti può rivelarsi una debolezza - i pochi rimandi al passato sono al limite del criptico - ma è anche un vantaggio per Jackman, libero da ogni vincolo narrativo e capace di esplorare finalmente appieno le contraddizioni umane di un personaggio complesso al quale il cinema non ha sempre reso giustizia. Dopo tanti anni, questo è Logan come lo abbiamo sempre voluto vedere, ed è poeticamente giusto che non lo si riveda più, piuttosto che rischiare che la prossima apparizione non sia all'altezza di quanto visto in questi 135 minuti. Da questo punto di vista l'attore si riconferma la scelta ideale per interpretare Wolverine: quello che ha fatto Jackman - lasciare il franchise - non sarà forse molto condiviso dai fan del personaggio, ma l'attore australiano non pteva certo scegliere un tempismo migliore di questo (nel film migliore della saga) per congedarsi.

Logan - The Wolverine Dopo quasi vent'anni Hugh Jackman lascia la saga degli X-Men con un film - Logan: The Wolverine - di commiato, spettacolare ma intimo, brutale ma umano, riconoscibilmente iscritto nel franchise di appartenenza ma dotato di un'identità propria, ambiziosa e per lo più audace. Adatto ad ogni tipo di pubblico (adulto), ma consigliato soprattutto ai fan di vecchia data, ai quali l'attore australiano dà un ultimo saluto intriso di pathos e amore per il personaggio.

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