La cosiddetta sindrome locked-in è una condizione nella quale un individuo si ritrova a essere in uno stato ibrido, ovvero sveglio e cosciente ma impossibilitato a muoversi o a comunicare con il mondo esterno, per via della paralisi più o meno completa di tutti i muscoli del corpo. Il solo modo per entrare in contatto con le persone in questo status è tramite dei sistemi che prevedono la chiusura delle palpebre o il movimento degli occhi, e proprio questo escamotage viene qui usato a fini narrativi per il procedere degli eventi.
Il pubblico di Netflix aveva già potuto osservare una medesima metodologia nel ben più riuscito Occhio per occhio (2019) di Paco Plaza - ancora disponibile sulla piattaforma di streaming e che vi consigliamo sentitamente di recuperare - ed eccoci qui ora davanti a un film che già nel titolo mette dichiaratamente le cose in chiaro: Locked In ha scalato le classifiche più visti negli ultimi giorni, ma meritava tutto questo successo?
Locked In, dentro e fuori
La giovane Lina si trova in ospedale al capezzale della madre adottiva Katherine, una famosa attrice cinematografica che si è presa cura di lei dopo la scomparsa della vera mamma quando era soltanto una bambina. La particolarità è che Katherine per lei è anche... sua suocera! Lina infatti ha sposato Jamie, il figlio naturale della donna, affetto fin da quando era piccolo da gravi problemi di salute.
Un matrimonio che Lina sente quasi come imposto e dove l'amore non è mai definitivamente sbocciato, colpevole inoltre di aver provocato un'insana gelosia da parte di Katherine, che la accusa di mirare unicamente al suo patrimonio e di averla delusa profondamente.

Ora una delle due si trova su un letto d'ospedale, in uno stato semi-vegetativo che le impedisce di raccontare i motivi per i quali si trovi lì, e una tenace infermiera cerca di spezzare quel vincolo di incomunicabilità, ottenendo nel frattempo la versione di quanto accaduto proprio da Lina, che inizia a ripercorrere gli ultimi mesi vissuti nell'immensa tenuta di proprietà dell'attrice, nei quali ha giocato un ruolo predominante anche l'ambiguo medico di famiglia, il dottor Lawrence.
Il gioco delle verità
Un intreccio contorto che si svela progressivamente con lo scorrere dei minuti ma che nella sua relativa esposizione invece di acquisire coerenza si ingarbuglia ulteriormente, evidenziando degli enormi buchi in fase di narrazione e soluzioni spesso illogiche o poco credibili nell'effettiva resa dei conti.

Locked In sembra andare alla costante ricerca di colpi di scena nel tentativo di rivitalizzare una trama altrimenti anemica e prevedibile, giocata tutta sui rapporti tra i quattro personaggi principali, con passioni segrete e altre invece in bella vista che esplodono nel lungo resoconto in flashback che caratterizza la maggior parte del minutaggio.
Lotta di classe, discorsi sui legami familiari di sangue e non, sensi di colpa e spirito di indipendenza: questi elementi vengono mescolati alla rinfusa in un thriller che vorrebbe ammantarsi di toni mystery e inquieti, ma frana sulle proprie ambizioni di partenza, restituendo a conti fatti un risultato veramente modesto, adatto a quel target inflazionato che trascorre le domeniche pomeriggio davanti a scialbe produzioni a tema pensate per il piccolo schermo.
Lo sceneggiatore Rowan Joffé aveva già lavorato in passato a un'evoluzione similare - se volete sapere di cosa stiamo parlando, recuperate la nostra recensione di Before I go to sleep (2014) - ma in quell'occasione oltre a poter contare su un cast d'eccezione (Nicole Kidman, Colin Firth e Mark Strong) aveva trovato alcune mosse vincenti nell'estensione del racconto. Qui invece l'insieme risulta scontato e forzato in certi passaggi, improbabile e involontariamente ridicolo in altri, fino a quell'epilogo che chiude ignominiosamente una vicenda mai interessante.
Il cast non fa nulla per nascondere le insicurezze dei relativi personaggi, che cambiano idea nell'arco anche della stessa scena. Famke Janssen è ormai un lontano ricordo della Jean Grey di X-Men, saga che la lanciò agli occhi del grande pubblico, e come femme fatale agée non risulta credibile; allo stesso modo la giovane Rose Williams non ha il carisma per reggere sulle spalle il ruolo principale.
Del tutto anonime e schiave dell'economia narrativa le due figure maschili, con Alex Hassell e Finn Cole che se la giocano in quanto a mancanza di carattere.Locked In è un film che paradossalmente sbaglia proprio nel suo voler dire troppo allo spettatore, senza prendersi il tempo di pensare e far maturare i suoi protagonisti, interpreti di un pasticcio di rara inconsistenza.
Per altri titoli recentemente arrivati sulla piattaforma di streaming, ecco qui la nostra rubrica sulle uscite Netflix di novembre.