Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato, si torna nella Terra di Mezzo

Tornare alla Terra di Mezzo... è possibile? La recensione de Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato.

Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato, si torna nella Terra di Mezzo
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Dieci anni sono passati da quel gennaio in cui abbiamo messo piede per la prima volta nella Terra di Mezzo, lasciandoci inondare dai suoi colori, dalla potenza narrativa dei suoi panorami, dalla profondità dei picchi montuosi. Dieci anni da quando il costume della cinematografia contemporanea si è lasciato, perché non poteva fare altrimenti, scuotere dalla trilogia che tutti volevano vedere ma che nessuno aveva ancora avuto il coraggio di portare sullo schermo: quell'epopea, divenuta un classico generazionale, scritta da J.R.R. Tolkien... quel Il Signore degli Anelli che tanto potere aveva avuto nel consumare le notti e i giorni di lettori dalle età più disparate e protagonisti delle epoche più diverse. Già prima di diventare un film il progetto era già un evento; già prima di divenire mainstream il libro era una sorta di Bibbia per milioni di appassionati, tra cui un tormentato Peter Jackson. È alla sua passione innata per il lavoro di Tolkien che dobbiamo la creazione della saga che ci ha resi quello che siamo oggi: orgogliosi e trepidanti spettatori che contano le ore che li separano da quei 173 minuti che li riporteranno nella mai dimenticata Terra di Mezzo. Ma prima di costruire qualsiasi pensiero sulla resa cinematografica de Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato è d'obbligo fare una precisazione, di quelle intuitive eppure necessarie. È vero, questo film arriva dopo il grande successo de Il Signore degli Anelli e brilla in partenza del riflesso della sua grandezza e del suo epocale successo: ma Lo Hobbit non è Il Signore degli Anelli. Un'affermazione scontata? Forse, ma se basta a ricordarvi che il libro nasce come un racconto di Tolkien per intrattenere i suoi figli, come una storia semplice simile alle favole classiche e che, quindi, è ben lontana dagli articolati complessi di trama del suo più corposo successore, allora vi ha ben disposti verso la lettura di questo articolo.

Un racconto hobbit

"Mio caro Frodo, una volta mi hai chiesto se ti avessi raccontato tutto riguardo le mie avventure. Anche se posso affermare onestamente di averti detto la verità, magari ho tralasciato qualcosina". Così comincia il racconto di Bilbo Baggins (Martin Freeman) e dell'avventura inaspettata che, quando era ancora un giovane, tranquillo e rispettabile hobbit, lo ha portato in giro per i territori più nascosti della Terra di Mezzo alla ricerca di un grande tesoro. Tutto è cominciato quando alla sua piccola porta si è presentato lo stregone Gandalf (Ian McKellen) che, farfugliando di onore, pigrizia e senso del dovere, gli ha invaso casa con una compagnia di 13 turbolenti nani, capitanati dal nobile Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage). Cosa vogliono da lui? Cercano uno scassinatore da aggiungere al loro gruppo, qualcuno con esperienza che li aiuti nella loro missione verso Erebor, la Montagna Solitaria che per secoli è stata la casa dei nani e che ora è la dimora del terribile Smaug, il drago che molti anni prima li ha attaccati per impadronirsi delle loro ricchezze. Seppure infastidito, contrariato e spaventato dalla presenza e dalle richieste dei nani, alla fine il sangue Tuc di Bilbo prende il sopravvento e lo hobbit parte con loro in questa avventura, che lo porterà per la prima volta lontano da casa e verso un destino che non riguarda solo lui, ma tutta la Terra di Mezzo. Il viaggio è lungo e i pericoli sono nascosti dietro ogni angolo, soprattutto quando i territori da attraversare brulicano di orchi, troll, mannari e creature, se possibile, ancora più oscure.

Immersione a 48fps

Se n'è parlato tanto ed è, indubbiamente, la prima cosa che salta all'occhio. A conti fatti che cosa comporta la visione di un film in HFR 3D? La prima impressione che si ha della Contea, l'ambientazione che ci accoglie all'inizio de Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato, è che sia, se possibile, più vivida e colorata di quanto già non fosse nella saga precedente. Tutto è così nitido, luminoso, abbagliante. Un risultato strano se si pensa che normalmente la visione in 3D di un film ne abbassa notevolmente la luminosità e che le MdP utilizzate per le riprese in 48 fps hanno il difetto di assorbire troppa luce. E invece la fotografia, diretta da Andrew Lesine, è satura di colori e tonalità accese, degna rappresentazione di una terra florida e ricca, ancora all'oscuro dei pericoli che sessant'anni dopo incomberanno su di essa. Essendo le scene proiettate al doppio della velocità a cui il cinema ci ha abituati, la seconda e immediata impressione è che tutto si muova troppo velocemente, come se qualcuno avesse impostato la velocità a 1.5 sul proiettore. I movimenti sono così veloci da apparire quasi a scatti: ma questo è un inconveniente solo iniziale. L'occhio umano fa presto ad abituarsi ai 48 frame e tutto inizia a muoversi sullo schermo in modo fluido e conseguenziale, e la sensazione di scatti accelerati fa capolino solo in alcune piccole sequenze nel corso della narrazione, senza divenire un'impressione predominante. Quello che invece permane per tutta la durata del film è il senso che tutto quello che appare sullo schermo sia troppo perfetto, talmente definito da sembrare finto, dai contorni troppo netti per essere immagazzinato nella mente come ripresa della realtà. Colpa anche del modo in cui la nostra percezione è stata educata nel corso degli anni, istruita ad assimilare come vera la grana della pellicola e i tipici difetti dell'effetto cinematografico, completamente annullati in HFR 3D.
Anche quando l'occhio umano si abitua a tutto ciò e la percezione visiva si normalizza sul nuovo standard, i 48 fps regalano un impatto emotivo costante, impressionando (nel bene o nel male) lo spettatore in ogni cambio di ambientazione, panoramica o scena di combattimento. Ma in questa assoluta perfezione è più facile scovare quel qualcosa che non funziona. Ed è strano come i difetti più grandi di una realizzazione e proiezione in HFR 3D si riscontrino in qualcosa che da sempre è stato al di sopra dei livelli standard come gli effetti speciali realizzati da Weta Digital. In un contesto in cui la tecnologia della MpD ha raggiunto una perfezione pari quasi a quella dell'occhio umano, degli effetti visivi la cui esperienza da sempre si calibra sui 24 fps sembrano dei piccoli posticci, che male (o meglio non perfettamente) si amalgamano al complesso.
Allontanandoci dal tema del HRF, ma rimanendo nel campo delle innovazioni tecnologiche che Peter Jackson ha adottato per realizzare al meglio Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato, è d'obbligo far notare come la prospettiva forzata, che aveva permesso la presenza di personaggi di diverse altezze e dimensioni sullo stesso set de Il Signore degli Anelli, si sia evoluta, una volta spostatisi sul campo del 3D, in un largo uso di doppi in scala e in una tecnologia chiamata Slave Motion Control. Per utilizzare questa tecnica il reparto scenografico ha costruito due set in cui adattare la stessa azione: uno a grandezza naturale per gli attori in scena e l'altro in green screen per i personaggi più bassi (o alti) che compaiono nella stessa scena. Tutti gli attori hanno recitato contemporaneamente la stessa scena sui due set con dei riferimenti visivi e uditivi, mentre le MdP giravano in ciascun set in perfetta sincronia. Questo procedimento ha permesso a Peter Jackson di dirigere simultaneamente i due set che sono poi stati uniti con il digitale in un'unica scena.

Andata e ritorno

Al di là di ogni valore tecnico e tecnologico, Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato è prima di tutto un'esperienza emotiva. Per tutti, anche se in due modi completamente diversi. Per chi si è innamorato della Terra di Mezzo e di tutti i suoi fantastici luoghi e personaggi grazie a Il Signore degli Anelli, questo film rappresenta l'agognato ritorno a casa, una vecchia rimpatriata tra vecchi amici, barbuti o con le orecchie a punta, che tanto ci sono mancati. Lo sa bene Peter Jackson che ha provato in tutti i modi a stare lontano da questa terra (chi non ricorda l'epopea Guillermo Del Toro/Peter Jackson che c'è stata prima che il progetto prendesse davvero il via?), ma alla fine ha ceduto rimettendo i piedi nella sua amata Contea (e rassicurando tutti i fan che dal suo lavoro erano stati compiaciuti). Il regista gioca con queste emozioni riportando sullo schermo vecchi amici che ti scaldano il cuore: impossibile non sentire un brivido e un senso di consolante tenerezza quando il vecchio Bilbo (Ian Holm) appare nel suo accogliente buco hobbit intento a sistemare i preparativi del suo compleanno e accanto a lui sorride, ancora ignaro del suo destino, un giovane Frodo (Elijah Wood). Ci si sente all'improvviso di nuovo a casa, intrappolati a tradimento nel posto che non avremmo mai voluto lasciare. Una nostalgia che Peter Jackson si diverte a riportare a galla a intervalli regolari, accompagnando sullo schermo vecchi personaggi che mai, avendo letto Lo Hobbit, ci saremmo aspettati di rivedere e accompagnando la loro presenza con quei temi sonori che da sempre li identificano.
Ma Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato è un'esperienza emozionante anche per chi per la prima volta si avvicina al mondo di Tolkien, così tanto osannato ma non certo alla portata di tutti. Pubblicato per la prima volta nel 1937, Lo Hobbit è il libro che, pur inconsapevolmente, ha posto le basi per quello che poi sarebbe divenuto Il Signore degli Anelli: è una storia semplice, dove i grandi temi tolkeniani già si intravedono tra le righe ma non si presentano con la successiva complessa preponderanza, dove gli avvenimenti scorrono veloci senza soffermarsi troppo su inutili contemplazioni. Una favola secondo il parere di alcuni, sicuramente una lettura semplice e un modo poco invasivo di avvicinarsi per la prima volta a questo immenso mondo. Ed è con questi occhi che, anche chi non è nuovo di questi luoghi, dovrebbe avvicinarsi a questo film, annullando gli inevitabili confronti con il suo epico predecessore e prendendo Lo Hobbit per quella avventura semplice e fiabesca che è sempre stata. C'è da riconoscere a Peter Jackson, Fran Walsh, Philippa Boyens e Guillermo del Toro la voglia di inserire nei meandri della sceneggiatura avvenimenti mai raccontati nel libro stesso e provenienti dall'enorme mole di materiale che Tolkien ha disseminato tra appendici e libri secondari, che permettono da un lato di avere una visione più chiara sugli avvenimenti che si svolgono in Lo Hobbit, dall'altro di aggiungere sfumature e conoscenza a una storia apparentemente ingenua.
Si possono dire mille cose su Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato e non saranno mai abbastanza, ma una cosa è certa: in tutto il progetto si respira l'amore per il mondo creato da J.R.R. Tolkien e per la saga nel suo complesso (non solo limitata a Il Signore degli Anelli). Da quello di un regista che ha dato tutto se stesso in termini narrativi e visivi, a quello di tutto il comparto tecnico e di supporto. Insomma nessuna emozione sarebbe così amplificata senza il lavoro di Howard Shore, immenso nel suo creare uno score musicale che si differenzi dal precedente pur intersecandosi con i temi portanti dei vecchi personaggi. Come nessun personaggio sarebbe davvero credibile senza l'ottimo lavoro degli attori che gli prestano volto e movenze. Sul lavoro di tutti ci sarebbe da dire qualcosa, ma tra tutti spiccano Martin Freeman, perfetto negli atteggiamenti e nelle espressioni tipiche di un giovane hobbit; Ian McKellen, ormai icona di tutto quello che Gandalf rappresenta; e Andy Serkis, il lato umano di un Gollum sempre più stratificato, frammentato, combattuto. È proprio a questo personaggio che dobbiamo una delle scene più belle ed emblematiche di questo film, quell'incontro tra Gollum e Bilbo nelle profondità di un antro oscuro, durante il quale le astuzie dei due personaggi duellano per la conquista dell'unico anello (per quanto nessuno ancora sappia quale sia davvero il suo potenziale). L'amore che tutti condividono per un film che si è trasformato negli anni in un'esperienza di vita, che ci abbia travolti sul set o in una sala cinematografica. L'amore che ti riempie gli occhi e la mente quando le luci si spengono e un triste canto nanico ti riporta alla realtà.

Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato Lo Hobbit - Un Viaggio Inaspettato non è di certo una pellicola perfetta. Per quanto i 173 minuti di film si dipanino davanti agli occhi dello spettatore senza troppo pesare per la loro lunghezza (eccetto forse una melliflua parte iniziale, inutilmente logorroica nel libro stesso), mantenendo un ritmo sempre piuttosto serrato e una narrazione costantemente avvincente, in alcuni frangenti Peter Jackson esagera con la costruzione delle scene d’azione, avvicinandosi più al linguaggio dei videogiochi che a quello cinematografico. Calca la mano, consapevole di poterlo fare, sfalsando a tratti la giusta percezione dell’evento, amplificando l’effetto fittizio dato da un uso massiccio di animazione e computer grafica. La sperimentazione del HFR 3D è affascinante e interessante e regala allo spettatore una prospettiva del tutto nuova, stabilendo un innovativo modello cinematografico che non passerà di certo inosservato. Molti sono ancora i passi che si devono fare per integrare la perfezione visiva che regala questa tecnologia con gli attuali standard degli effetti visivi, ma l’inizio di questa nuova (e vecchia) avventura nella Terra di Mezzo è comunque incoraggiante e capace di regalare sensazioni che permeano le barriere emotive dello spettatore e ti si imprimono nel profondo: che si tratti di percezione musicale, fascinazione per un mondo vivido e favolistico o semplice voglia di tornare a casa.

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