Recensione Lo chiamavano Jeeg Robot

Gabriele Mainetti porta al cinema un supereroe di periferia profondamente umano, in una inconsueta e incredibilmente riuscita incursione del cinema italiano nel genere dei cinefumetti.

Recensione Lo chiamavano Jeeg Robot
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In una Roma di periferia, lontana dai salotti borghesi e dalla Bella vita, vive (o, per meglio dire, sopravvive) Enzo Ceccotti, furfantello senza arte né parte che passa le sue giornate tra scippi, ruberie di poco conto e pomeriggi sul divano a guardare film porno mangiando budini del discount. Consapevole della sua pochezza, il nostro campa alla giornata, senza amici, affetti o ambizioni di sorta. Ma quando un giorno, incidentalmente, guadagna dei misteriosi superpoteri che sviluppano oltremisura la sua forza e la sua resistenza, Enzo ha la possibilità di cambiare la sua vita... e quella degli altri. In primis quella di Alessia, ragazza fragile che vede nel suo cartone animato preferito la sua coperta di Linus; ma anche quella del "collega" Fabio Cannizzaro, detto Lo Zingaro, piccolo bandito locale con mire da grande boss della mala. Ma, fondamentalmente... chi glielo fa fare?

Corri ragazzo laggiù (super romani con super problemi)

Lo ammettiamo col capo chino: quando per la prima volta abbiamo scorto il titolo del film e abbiamo indagato sulla sua natura eravamo molto, molto scettici. Per quanto accogliamo sempre con molta positività i tentativi di giovani cineasti italiani di fare cinema di genere, fantascienza, horror o, ad ogni modo, qualunque cosa non rientri tra i soliti due o tre generi in cui si è infognato il cinema italiano (ovvero la commediola, il drammone d'autore e il film d'attualità) i risultati medi di queste operazioni lasciano spesso a desiderare, o quantomeno non convincono a pieno. Con tutta la buona volontà, non c'è riuscito pienamente neanche Gabriele Salvatores: che speranze di riuscita possono mai esserci per esordienti a basso budget? Eppure ci siamo dovuti rimangiare tutto il nostro disfattismo, nel post-visione. Che poi, a ben pensarci, se avessimo ricollegato i nomi alla base del progetto ad alcuni corti di qualche anno fa, il sospetto che qualcosa poteva andare per il verso giusto avrebbe fatto prepotentemente capolino.

Il regista Gabriele Mainetti e lo sceneggiatore Nicola Guaglianone, difatti, sono gli artefici di due bellissimi cortometraggi: Tiger Boy e Basette. Entrambi prendono come spunto due leggendari anime giapponesi (L'Uomo Tigre e Lupin III) per impiantare una storia di grande valore sociale. Stessa cosa, ma decisamente più in grande, accade con Lo chiamavano Jeeg Robot, rarissima incursione del cinema italiano nel mondo dei cinecomic. Proprio come Il ragazzo invisibile, non si tratta dell'adattamento cinematografico di un fumetto preesistente, ma di una storia originale che verrà, in seguito, espansa in altri media. Al cuore, però, rimane la vicenda di Enzo, in "arte" Jeeg, sorprendentemente interpretato da Claudio Santamaria, attore dalla poliedrica filmografia che, per un curioso caso del destino, si è ritrovato di nuovo nel mondo dei supereroi dopo aver doppiato più volte Batman. Lo chiamavano Jeeg Robot, però, nonostante sia debitore in più punti alla saga del Cavaliere Oscuro di derivazione nolaniana, vanta un'epica decisamente più vicina a quella dei 'supereroi' giapponesi, avvicinandosi molto ai manga shonen e seinen per tematiche e approccio ai personaggi. Senza scimmiottare nulla, ad ogni modo, e restando ancorati ad una italianità marcata, nel contesto (forte tra l'altro di un romanaccio inserito per coerenza, e non per leggerezza) quanto nella realizzazione tecnica.
Mainetti gioca tantissimo coi punti di riferimento dell'immaginario che apprezza e, come un piccolo Quentin Tarantino, mescola generi e stili, restituendo un cocktail esplosivo e incredibilmente coerente che non solo è tecnicamente valido e dispensa due ore di intrattenimento serrato, ma dimostra anche come abbia perfettamente colto, digerito e distillato la vera epica del superuomo, le sue contraddizioni, le sue motivazioni.
La scrittura libera, il voler raccontare senza troppi freni le difficoltà della periferia e la profonda umanità dei personaggi sono un altro punto a favore della storia opera di Guaglianone e Menotti, che creano personaggi vivi, per i quali si prova empatia. Oltretutto, ad essere ben strutturato non è solo il protagonista ma anche gli altri due personaggi principali, ovvero lo splendido villain e l'azzaccata figura femminile della storia, "nagaiana" al punto giusto. A questo contribuiscono, naturalmente, i due interpreti: Ilenia Pastorelli è dolce e credibile in una parte tutt'altro che all'acqua di rose, mentre Luca Marinelli, che già si era fatto notare in Non essere cattivo, tratteggia qui un Joker di Tor Bella Monaca irresistibile e fortemente caratterizzato, rischiando la macchietta con un all-in che lo fa vincere su tutta la linea.

Lo chiamavano Jeeg Robot Prodotto assolutamente atipico per il mercato italiano, straordinario per coerenza, qualità tecnica (regia, montaggio, fotografia, utilizzo ricercato delle musiche) e coraggio (ripagato), Lo chiamavano Jeeg Robot è un esperimento perfettamente riuscito che dona nuova speranza al cinema del nostro Paese. Serrato, divertentissimo ma anche commovente e molto profondo, il film di Mainetti stupisce e colpisce, spesso basso: non è un prodotto per ragazzini -cosa che in parte ne trancia le velleità commerciali- ma ci dà giù con violenza e cattiveria come non credevamo possibile. Certo, l'efferatezza del contesto e la pretestuosità dell'assunto iniziale potrebbero far storcere il naso a qualcuno, ma qui non siamo davanti a un film Marvel Studios o DC: abbiamo davanti un supereroe "realistico" che ci mostra davvero cos'è la responsabilità, il coraggio, l'amore e l'empatia.

9

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