Linea mortale, la recensione del film di Joel Schumacher

In attesa del sequel di Niels Arden Oplev con Ellen Page, riscopriamo il fascino morboso del thriller con Julia Roberts e Kevin Bacon.

Linea mortale, la recensione del film di Joel Schumacher
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Che cosa c'è dopo la morte? Non è certo un interrogativo di poco conto quello che, da sempre, ossessiona l'umanità, riversandosi, spesso e volentieri, anche su molto cinema di genere. Dall'horror alla fantascienza, passando per il thriller, non sono stati affatto pochi quei film che, tra aldilà ed esperienze extracorporee, hanno trattato la spinosa questione, sfruttando il mistero (e la paura) dell'ignoto. Proprio nell'intersezione tra questi generi e questi mondi pare posarsi, con la consueta leggerezza, il cinema di Joel Schumacher, scandagliando ragioni, paure e incubi di un mistero insolvibile. Eppure ciò che più sorprende di Linea mortale, sesto film del regista statunitense, non è tanto la risposta (prevedibile) a questa domanda, quanto piuttosto constatare che questo lungometraggio inverosimile, pretenzioso e semplicistico abbia resistito egregiamente al passare del tempo.

Al di là della vita

Era il 1990 quando il regista, ancora forte del grande successo di pubblico di Ragazzi perduti, raccoglieva attorno a sé una manciata di giovani star del momento per mettere in scena la lotta senza quartiere tra cinque ambiziosi specializzandi in medicina e la Morte stessa. Gli esperimenti portati avanti in clandestinità da Julia Roberts, Kiefer Sutherland, Kevin Bacon, William Baldwin e Oliver Platt diventavano così il titanico tentativo di scoprire, una volta per tutte, cosa si celasse dietro al mistero più grande dell'universo, cosa ci fosse, in poche parole, dietro a quella fantomatica luce bianca in fondo al tunnel. Quello che questi moderni Prometeo (ogni riferimento al romanzo di Mary Shelley non è puramente casuale) non potevano sapere, invece, era che, in quegli sconsiderati esperimenti di morte temporanea, qualcosa, dall'altra parte, sarebbe tornato insieme a loro, qualcosa di terribile, fatto delle loro più profonde paure, mancanze e sensi di colpa, condannandoli a un limbo allucinatorio dove nulla gli avrebbe più permesso di discernere la realtà dall'immaginazione.

Allucinazioni perverse

È un incubo a occhi aperti quello che impregna ogni singola inquadratura di Linea mortale. Un incubo che ne ammanta le atmosfere, riversando il suo malsano e ostentato senso di oppressione su tutta la pellicola. Nello stesso anno in cui Allucinazione perversa giocava con gli orrori di un reale sempre più indefinito, Schumacher metteva in scena il suo personale delirio metafisico stemperando qualsiasi criticità in favore di un film d'atmosfera affascinante ma, tutto sommato, innocuo. Simile eppure lontano dal film di Adrian Lyne e dalla sua carica genuina e lisergica, Linea mortale sorprende, oggi, soprattutto per le sue ambientazioni, per la sua città trasfigurata e senza nome, per quelle suggestioni gotiche e venefiche immortalate dalla fotografia di Jan de Bont. Da buon mestierante qual è, Schumacher gioca così con i generi e i toni, amalgamando horror e fantascienza senza soluzione di continuità e costruendo un'opera tesa e ben calibrata che non sa che farsene di sensazionalismi o effetti troppo urlati, forte di una tensione che basta a dargli tutto l'intrattenimento di cui ha bisogno.

Seguendo l'esempio di tanto horror psicologico, il regista calca la mano sui toni cupi e opprimenti di ogni scena, fino a renderli paradossalmente più interessanti persino delle sequenze oniriche e visionarie sparse, come una rivelazione, per tutta la pellicola. E se i grandi temi etici, scientifici e filosofici finiscono inevitabilmente per dissolversi in una sfacciata superficialità generale, poco importa. In un film dove è la componente estetica a fare la differenza, dove il contesto e le dinamiche contano molto più dei salti allucinati nell'ignoto, è il reale a fare più paura, un mondo reso opprimente da un'atmosfera che si fa beffe di un immaginario soprannaturale derivativo, e che irride, in definitiva, anche quella martellante, onnipresente domanda che dovrebbe essere il fulcro di tutta la vicenda.

Flatliners - Linea Mortale Schumacher affronta il mistero della morte mettendo in scena un horror d'atmosfera sussurrato ed esteticamente affascinante, che stempera ogni problematicità in favore di una tensione capace di farne un innegabile (seppur innocuo) prodotto di intrattenimento. Seppur lontano dalle visioni di Adrian Lyne, Linea mortale sorprende ancora oggi per le sue ambientazioni, per la sua città trasfigurata e senza nome, per quelle suggestioni gotiche e venefiche impresse nelle inquadrature.

6.5

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