Recensione Lesson of the Evil

L'oltraggiosa violenza di Takeshi Miike.

Recensione Lesson of the Evil
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Lo chiamano "Il Maestro" e un motivo ovviamente c'è. Takashi Miike non è certo il primo regista capitato per caso sulla rotta del cinema internazionale che spera, con questa sua prima volta a un festival italiano, di raggiungere l'agognata celebrità. Non ne ha certo bisogno lui, personalità cinematografica dallo spiccato stile eclettico che si è affermato nel tempo come regista innovativo, in qualsiasi genere si sia cimentato. Da sempre i suoi lavori sono protagonisti dei più svariati festival internazionali e quest'anno, per la prima volta, tocca al Festival Internazionale del Film di Roma ospitare l'opera di Miike, ancor prima che questa venga presentata in Giappone. Il Canone del Male segna il ritorno del regista al thriller dai tratti spiccatamente violenti, dopo una pausa in cui si era dedicato a film dichiaratamente commerciali e per ragazzi o al suo studio della figura dei samurai. Questa volta la macchina da presa si infiltra in un liceo giapponese portando sul grande schermo la trasposizione della graphic novel Aku No Kyoten (Lesson of the Evil) di Yusuke Kishi. I presupposti per un'opera alla Miike ci sono tutti...

Il professore perfetto

Seiji Hasumi (Hideaki Ito) è un professore dell'Accademia Shinko, una scuola media superiore privata. È un insegnante modello, popolare sia tra gli studenti che tra gli insegnanti. Hasumi apparentemente riesce a trovare sempre una soluzione a tutto, che si tratti di imbrogli agli esami da parte degli studenti o di spiacevoli situazioni di bullismo: persino quando viene a conoscenza delle aggressioni sessuali di un professore verso una sua allieva riesce a sistemare la situazione senza problemi. Questo fa sì che Hasumi abbia sempre più potere all'interno della scuola... ma c'è qualcuno che non è convinto dei suoi metodi, soprattutto quando i principali protagonisti dei problemi scolastici iniziano a scomparire misteriosamente o ad essere ritrovati morti. Che cosa sta succedendo davvero? E come fa Hasumi a sapere sempre tutto di tutti? Qualcuno, inevitabilmente, inizia a indagare, scoprendo l'inimmaginabile e scatenando le ire del professore...

Riflessioni di stile

Se c'è una cosa che a Takashi Miike riesce davvero bene è giocare con la psicologia di personaggi palesemente controversi che sfocia, il più delle volte, in una violenza al di là della basilare concezione umana. Per questo la storia di Lesson of the Evil è perfetta per le inclinazioni artistiche del regista. Un protagonista, Hasumi, socialmente disumano, completamente senza legami e costantemente fedele alle proprie credenze, giuste o sbagliate che siano. Non si tratta di pura amoralità, quanto di una visione distorta della stessa, manipolata da anni passati a destreggiarsi nello stesso gioco di violenza e morte, vittoria e pazzia. Miike indaga la sua storia con pacata e algida lentezza, distaccandosi dal suo pensiero senza però condannarlo, cercando poi di accelerare i ritmi quando l'inversione di rotta nella narrazione appare ormai evidente. Nella descrizione monocromatica degli avvenimenti scolastici, costruiti visivamente come se si trattasse delle più classiche delle dinamiche sociali, il regista nasconde il suo commento alle stragi che avvengono nel mondo reale; ma è nella fase finale del film, quando la violenza diventa la protagonista indiscussa, che si diverte a sperimentare, a giocare con le immagini e la psicologia del suo spettatore. Eppure il film fatica ad affermarsi.
Vittima di un'introduzione troppo prosaica, che si impegna a inserire nella narrazione gli elementi più disparati del passato del protagonista, la pellicola impiega troppo tempo per entrare nel vivo dell'azione, per poi concludersi senza dare realmente delle risposte e chiedendosi se non si dovrà obbligatoriamente attendere l'annunciata seconda parte per capire sul serio perché tutto quello avvenuto nelle ultime due ore di film sia davvero successo. Non troppo originale o d'impatto. Il Canone del Male fornisce comunque degli interessanti spunti di riflessione. C'è lo studio psicologico sulla natura del male, sul modo in cui essa si manifesta o al contrario si nasconde, sulla consapevolezza del proprio ruolo nel mondo e su come anche la pazzia, se preventivata, può diventare pedina vincente di un gioco più grande del previsto. Ma anche quello visivo, a cui Miike, costantemente alla ricerca di nuovi linguaggi, non è disposto a rinunciare. E c'è anche quello musicale, rappresentato da quel Die Moritat von Mackie Messer che diviene colonna sonora di tutta la pellicola e che, forse, rappresenta anche la migliore chiave di lettura di questo film.

I Libri del Male Per apprezzare Il Canone del Male di Takeshi Miike non bisogna prenderlo troppo sul serio, anestetizzando i meccanismi celebrali che conducono lo spettatore alla costante ricerca di risposte e godendosi quella parte che è puro intrattenimento, esagerato, gretto, splatter, quasi videoludico. Si, meglio fare così... per le risposte converrà attendere.

5

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