Recensione La vita facile

Le vite (non) facili secondo Lucio Pellegrini

Recensione La vita facile
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Non è facile la vita: né quando ti abbraccia nel mondo dorato dei privilegi del tuo status sociale, né quando si affanna a gettarti in faccia un amore impossibile. E allora parti, scappi, cerchi una meta che possa restituirti il senso di una vita ingrigita dagli agi e dal benessere a portata di mano, ricevuto come dono di Dio piuttosto che come frutto del sacrificio umano. Sono questi motivi, mescolati tra di loro in una micidiale mistura, che hanno portato Luca Manzi (Stefano Accorsi), giovane medico con un carriera assicurata dalla ‘intrallazzata' posizione paterna ai vertici di una prestigiosa clinica privata romana, a fuggire nelle lande desolate del Kenya, col proposito di lavorare in una fatiscente struttura ospedaliera locale che tenta, come può, di aiutare la comunità indigena. Sono gli stessi motivi che hanno portato invece Mario Tirelli (Pierfrancesco Favino), storico amico di Luca nonché talentuoso chirurgo, ad abbracciare con assoluta naturalezza il mondo fatato e corrotto che gli ha garantito soldi, potere, successo e una relazione con la donna ‘giusta', quella che meglio aderisce a quel patinato quadretto borghese, la stessa donna che ha contribuito alla fuga di Luca.

Il buono, la bella e il cattivo

Dunque due amici e due scelte agli antipodi che anni dopo torneranno nuovamente a confrontarsi nella cornice emozionale africana, e dove per entrambi maturerà, inopinatamente, la consapevolezza di aver scelto strade sbagliate. L'evento detonatore, che farà di nuovo incrociare le strade dei due amici, sarà proprio l'improvvisa volontà di Mario di partire per il Kenya, con il proposito di dare una mano al suo vecchio amico e (forse) ritrovare un barlume di quella coscienza medica e umana che ‘la vita facile' gli ha fatto perdere di vista. Non avvezzo al misero ambiente clinico e alle politiche di sopravvivenza che regolano la professione in quegli inferni di disagio umano, Mario dovrà superare una prima fase di rifiuto prima di acclimatarsi alla sconosciuta ‘vita difficile' che lo circonda, lontana dai morbidi cachemire, dai lucenti SUV e dalle facili presunzioni borghesi. Poi, l'improvviso - e galeotto - arrivo di Ginevra (Vittoria Puccini), riaccenderà tra i due amici il focolaio di un'antica sfida, che porta (all'apparenza) il nome dei soldi e dell'amore. Il buono, la bella e il cattivo si troveranno dunque nuovamente insieme a rivangare stagioni (rievocate anche musicalmente da La stagione dell'amore di Battiato) e passioni passate (sul sottofondo di Ti sento dei Matia Bazar), che tra tradimenti, bugie e sete d'apparenza hanno contribuito ad acuire quel gioco di maschere e travestimenti, forse coscienti forse inconsapevoli, di cui ora non reggono più il peso. Perché niente e nessuno, in fondo, è ciò che sembra.

I desideri non invecchiano, quasi mai, con l'età

A distanza di dodici anni dagli intrighi amorosi di E allora Mambo!, il regista Lucio Pellegrini torna a parlare di insoddisfazioni umane che si mescolano al mondo delle relazioni in un amalgama spesso inscindibile. I due amici di allora (gli oramai celebri Luza Bizzarri e Paolo Kessisoglu) sono stati rimpiazzati da Stefano Accorsi e Pierfancesco Favino, mentre l'asettica cornice del centro Italia ha lasciato spazio a quella ben più suggestiva ed emozionale dell'Africa, capace di acuire il sentimento umano per la bellezza e per la sofferenza, e per questo di stravincere nel confronto con l'asfittica vita mondana (romana e non solo), messa alla berlina per la sua mala gestione dell'uomo, degli affetti, della società, tutti traviati da quel canto delle sirene dell'estetica che sembra incantare tutti. Sono dunque entrambi pedine e vittime di una società che corrompe l'essere in virtù dell'apparire i nostri antieroi Luca e Mario; come lo è d'altronde Ginevra, non la viscerale incarnazione dell'amor cortese ma una vacua rappresentazione della mediocrità attuale, sballottata tra prua e poppa dai singulti della vita.

La mia Africa

Una premessa se non altro originale, quella racchiusa nel soggetto di questo film, che però non mantiene le promesse per la sostanziale incapacità di tracciare personaggi reali, e che di reale hanno solo il riflesso delle loro azioni, che tra accesi scontri e subitanee riappacificazioni, risultano a lungo andare estremamente congetturali (come  congetturale risulta d'altro canto il finale non scontato nel suo essere poco plausibile). L'affresco di traumi e cicatrici esistenziali che hanno afflitto i tre protagonisti implicati in questo triangolo amoroso a tratti misterioso, rimane troppo nebuloso e discontinuo, trasmettendo la sensazione di mille film in uno, tutti irrisolti, in un 'escapismo africano' più pregnante di quello di Muccino jr. (Un altro mondo), ma non significativamente contestualizzato. Questa mancanza, acuita anche dalla sensazione di non poter inquadrare il film in un genere (sempre in bilico tra pseudo-dramma e commedia), e alimentata da un personaggio femminile gretto e completamente privo di carattere, che funge unicamente da mezzo di affermazione dell'universo maschile, svuota il senso della premessa e sminuisce le prove dei pur bravi Favino (in particolar modo) e Accorsi. Rimescolare le carte per un finale a effetto sorpresa non recupera l'appeal filmico, ma anzi pregiudica la coerenza narrativa di personaggi e scelte pregresse, riaffermando infine la supremazia della ‘vita facile' di cui il film stesso è denuncia. Viene dunque da chiedersi: qual era quindi il vero intento del film?

La vita facile Lucio Pellegrini traspone su pellicola punti di forza e debolezza delle scelte, di quelle che rinnegano la scorciatoia e la vita facile, di quelle che invece l’abbracciano con naturalezza e spirito di conformismo. Ci dice che gli amori mancati e le storie vissute lasciano il segno e che però, alla fine, nel grande disegno della vita tutto può cambiare. Una tesi non sufficientemente supportata da una narrazione coerente e coesa, dove l’universo femminile (non pensante) è mero appendice di quello maschile e dove ogni occasione fa l’uomo ladro (anche quando il ladro in questione è un uomo che ha scelto a sue spese di cambiare vita), e dove la vita facile sembra essere, in fin dei conti, l’unica realmente desiderabile. Si perde dunque nella foga del compimento filmico originale, un punto di vista unitario, che possa realisticamente supportare le svolte narrative e il percorso dei personaggi, e che invece desta nello spettatore un certo senso di smarrimento.

5

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