La verità di Grace, la recensione del film Netflix

Tyler Perry scrive e dirige un legal thriller nel quale una donna afroamericana di mezza età è accusata dell'omicidio del suo giovane compagno.

La verità di Grace, la recensione del film Netflix
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I thriller a sfondo processuale hanno necessariamente bisogno di un colpo di scena che riesca a rivoluzionare, o quanto meno a giustificare, l'iter giudiziario al quale si è assistito durante la maggior parte della visione. In questa nuova produzione originale Netflix, il regista e sceneggiatore Tyler Perry ha studiato le basi del genere per tentare di proporre un altro degno esponente del filone, questa volta in salsa "all-black". La verità di Grace vede infatti coinvolte maestranze e interpreti per grandissima parte, o almeno nei ruoli principali, di origini afroamericane, fattore non nuovo nel cinema d'Oltreoceano dove, fin dagli anni '70 della Blaxploitation, il pubblico di colore trova storie e personaggi nei quali identificarsi. Nei fatti, come vedremo a breve, la narrazione ha un carattere universale e potrebbe essere ambientata in qualsiasi Paese del mondo, pur con tutti i limiti di una sceneggiatura che prova a spingere su contemporanee tematiche sociali senza la necessaria lucidità d'intenti.

La verità di Grace a tutti i costi

La trama vede per protagoniste due donne, la giovane avvocatessa Jasmine e la Grace del titolo, una donna di mezz'età accusata dell'omicidio del proprio compagno. La ragazza, al suo primo caso e pronta ad assumersi la difesa della seconda, si trova alle prese con i propri scrupoli di coscienza quando decide di non accettare come buona la confessione della sua cliente e di indagare a fondo sul movente e le cause che hanno portato al delitto. Durante l'investigazione, e grazie alle informazioni confidatele da una vecchia amica dell'accusata, la legale scopre che la presunta vittima (il cui cadavere non è mai stato ritrovato) aveva qualcosa da nascondere e che non tutto è come sembra.
Jasmine opta così, nonostante il parere contrario dei superiori, per andare a processo e dovrà fare affidamento sul proprio intuito e sulla propria passione per scoprire la verità prima che abbia luogo una ingiusta condanna.

Perry, ma non Mason

La verità di Grace soffre di uno svolgimento ligio e lineare, per di più imbastito su una durata eccessiva (due ore piene), tanto che un taglio di mezz'ora avrebbe indubbiamente giovato alla fruibilità dell'operazione. Invece gran parte degli eventi si perdono in una verbosità a tratti sfiancante e in un lungo susseguirsi di flashback atti a espletare la realtà delle cose, seguendo uno schema meccanico che ben presto viene a noia nell'esposizione complessiva. Il regista Tyler Perry non riesce a rendere credibili i personaggi coinvolti per via di alcune leggerezze di scrittura che denotano mancanza di verosimiglianza, con comportamenti e reazioni non sempre credibili e il colpo di scena finale traghettato da forzature e casualità che neanche la più provvidenziale delle buone sorti avrebbe potuto garantire in un simile contesto.
A pagare queste scelte, figlie di un'improvvisazione poco perdonabile in un cinema contemporaneo attento a logiche razionali e dettagli piazzati al millimetro, è anche la suddetta rivelazione, che sulla carta nelle sue atmosfere pseudo-horror avrebbe potuto avere un maggior impatto sulla storia.

La messa in scena è canonica, con le sequenze nelle aule di tribunale svuotate della necessaria tensione a tema e i risvolti sentimentali delle due antitetiche protagoniste intrisi o di banalità o di assurdità assortite, con il solo, intrigante personaggio secondario di Phylicia Rashad (storica interprete della mamma Claire nell'iconica serie televisiva I Robinson) a infondere un po' di verve a un insieme altrimenti troppo abbottonato.

La verità di Grace Ogni donna ha il suo punto di rottura, cita la tagline in locandina, lo stesso vale anche per il pubblico e difficilmente lo spettatore di Netflix supererà la mezz'ora di visione. La verità di Grace soffre di un anonimato generale nella messa in scena, con una verbosità imperante, un continuo ricorso a flashback chiarificatori e scelte poco verosimili in fase narrativa, con casualità e colpi di fortuna che indirizzano verso il prevedibile finale. Un paio di spunti discreti, scioccante rivelazione filo-horror in primis, e un solo personaggio effettivamente interessante non giustificano le due ore spese per arrivare a un epilogo scontato e privo di emozioni.

5

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