Recensione La Trattativa

Sabina Guzzanti, tra il serio e il faceto, ci racconta i possibili retroscena della famigerata trattativa Stato-mafia

Recensione La Trattativa
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Nella prima metà degli anni '90 l'Italia ha sofferto il ritorno della tensione generale dovuta all'incandescente clima “criminale” che si andava figurando nello Stivale. Le mafie stavano facendo affari d'oro e affogavano nel sangue ogni segno di ribellione, statale o popolare che fosse. Intimidazioni, attentati, assassinii, finanche stragi che sono costate la vita a decine e decine di poliziotti, magistrati, semplici onesti cittadini desiderosi di un ritorno alla legalità al Sud come al Nord. A fronte di un'escalation del terrore che appariva sempre più inarrestabile si ergevano forti alcune eroiche figure entrate poi nella storia, figure che, in gran parte, finirono assassinate ma le cui idee hanno ispirato tanti altri, e vivranno per sempre. Ma, ad ogni modo, mentre si facevano avanti pericolose ideologie di ogni genere, “si dice” che, per calmare le acque ed evitare ulteriori complicazioni, lo Stato sia segretamente venuto a patti con la mafia tramite la fantomatica Trattativa, volta ad assicurare vantaggi per entrambe le parti: la malavita organizzata avrebbe mantenuto, da allora, un profilo molto più basso e “gestibile” mentre lo Stato avrebbe concesso di chiudere un occhio su tutta una serie di traffici, o garantire alcuni 'privilegi' alle cosche. Se ne parla da anni, ma di ufficiale, nonostante montagne di indagini, non c'è ancora nulla. La Trattativa, il nuovo film di Sabina Guzzanti, parla proprio di questo.

Dalle stragi al fantomatico accordo

E lo fa con coraggio e in scioltezza, trattando una delle pagine più scottanti della recente storia italiana: davvero lo Stato Italiano è sceso a patti con una malavita il cui strapotere era ormai troppo pericoloso, tanto da dover acconsentire al “male minore”? Davvero un'intera classe politica era collusa e sapeva, mentre molte forze di giustizia e polizia venivano tenute allo scuro, se non manipolate? La Guzzanti sceglie la via della docufiction più originale per narrare i dati raccolti, e lo fa con una certa caparbietà e inventiva, facendo di necessità virtù e sfruttando anche le limitazioni tecniche di una produzione quasi televisiva e/o teatrale nei mezzi e nelle soluzioni sceniche: spesso si abbatte la quarta parete e gli attori ingaggiati, volutamente, interpretano più ruoli in un pirandelliano gioco delle parti. Senza soluzione di continuità si passa dal racconto tragico alla farsa, dagli spezzoni di documentario alla fiction realizzata sullo sfondo di un green screen. Un espediente che funziona particolarmente bene, facendo scorrere il film con leggerezza nonostante la gravità dei temi trattati, resi sempre col dovuto rispetto. Se c'è qualcosa di ridicolo o ilare, è insito alla situazione in sé, senza forzature (tranne, forse, una: l'eccessiva e telefonata caricatura berlusconiana dell'autrice che già ben conosciamo) e il cast attoriale è bravissimo a dosare e mixare i toni e i ritmi. Certo, la base, l'ossatura del film è una profonda ricerca sul caso, che porta avanti tutta una serie di tesi affascinanti, suffragate da parecchie prove indiziarie che fanno fare “2+2” a tutti gli spettatori quasi in automatico, ma senza affermare nulla direttamente. In questo la Guzzanti è stata furba, guardando ai suoi trascorsi: le dichiarazioni sono soppesate e provengono, in gran parte, da atti processuali o testimonianze dirette, portandoci a credere che, negli ultimi trent'anni, dietro le quinte dei palazzi della politica siano successe molte più cose di quante non ne siano venute alla luce effettivamente.

La Trattativa La trattativa è una docufiction assolutamente singolare e dotata di un'impostazione unica e originale. Tecnicamente studiatissima, incisiva e ben recitata, riesce ad appassionare lo spettatore rendendolo partecipe in modo chiaro di tanti affari loschi dell'ultimo trentennio di storia italiana intrattenendolo ma, soprattutto, facendolo pensare. Certo, in alcuni frangenti è forse un po' sopra le righe ma rimane un documento significativo, che non si limita a sparare nel mucchio nel vano tentativo di colpire la parte di pubblico predisposta a recepire il suo messaggio.

7

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