La Ruota delle Meraviglie, la recensione: nella Coney Island agrodolce di Woody

Woody Allen ci riporta nella Coney Island degli anni '50 per una favola agrodolce, emozionante, con un cast di eccellenze.

La Ruota delle Meraviglie, la recensione: nella Coney Island agrodolce di Woody
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Coney Island, anni '50. La bella stagione e il meteo favorevole rendono la spiaggia piena in ogni ordine di posto, appena dietro il boardwalk brulica di gente e la ruota panoramica non si riposa mai, gira senza sosta e osserva costantemente la vita al di sotto, frenetica e complicata. I fasti dei primi anni '20 del resto sono lontani, New York ha dovuto affrontare la crisi del 1929 e una guerra mondiale, seppur da spettatrice oltreoceano. Gli affari non hanno più il vento a gonfiare le vele e rischiano costantemente la secca, come purtroppo sa bene Humpty, un giostraio rozzo ma con cuore e dei sani principi. Tutte qualità in grado di conquistare l'amore di Ginny, una cameriera che più volte in passato ha rischiato il baratro e che soltanto con il nuovo matrimonio è tornata a galla, per così dire. I nostri due personaggi principali sono il ritratto esatto della Coney Island dell'epoca, decadente e colma di problemi, nonostante la superficie patinata. Volate via le farfalle nello stomaco, il rapporto fra Humpty e Ginny è scivolato in una noiosa routine, peggiorata dal lavoro senza sbocchi di lei e dal carattere rude ed egoista di lui, attento soprattutto alla pesca e al risparmio più serrato.
Non è un caso che il loro amore non abbia dato alcun frutto, anche se nel loro passato si nasconde dell'altro: entrambi infatti hanno già avuto altre relazioni alle spalle, dalle quali Ginny ha avuto il piccolo e problematico Richie, Humpty l'ingenua ma magnetica Caroline, a vent'anni volata fra le braccia di un affascinante ma pericoloso gangster. È proprio la ragazza dai riccioli d'oro, tornata dal padre dopo cinque anni di silenzio, a innescare una bomba a orologeria destinata a esplodere.

Sulla ruota delle meraviglie

Negli ultimi dieci anni abbiamo visto Woody Allen viaggiare intorno al mondo, da Barcellona a Parigi, facendo persino una deludente tappa a Roma, ma è ormai chiaro che il regista riesca a dare il meglio di sé soltanto attorno alla sua Manhattan. La Coney Island che ha costruito per La Ruota delle Meraviglie è tanto metaforica quanto fittizia, volutamente artefatta, un palcoscenico in piena regola su cui sfogare il suo teatrale talento. Perché questa volta, più che di cinema in senso stretto, parliamo proprio di teatro, di una messa in scena pomposa, a tratti sregolata, che trasforma il grande schermo in uno stage. Un linguaggio che probabilmente non è destinato al grandissimo pubblico ma che nasconde una libertà di movimento smisurata, in grado di rendere Allen libero di osare e inventare senza freno alcuno. Proprio grazie a questo arriviamo all'ultimo personaggio principale della nostra pièce, Mickey, un bagnino che aspira ad essere - guarda caso - un drammaturgo di chiara fama e che, noncurante della quarta parete, si rivolge continuamente al pubblico in sala guardando in macchina senza pudore. Sembra proprio lui il deus ex machina degli eventi, che si complicano sempre più con il passare dei minuti. Da spettatori diventiamo infatti schiavi di una serie di scatole cinesi di disastri, fra gangster affamati di vendetta, tradimenti, egoismi e drammatici triangoli amorosi.

Coney Island dall'alto

Come nella più pura tradizione, Woody Allen ha evitato di scegliere espressamente un genere ben preciso, farcendo la sua nuova opera di sfumature sì tragiche, ma sempre inframezzate da freddure divertenti, situazioni comiche e disavventure agrodolci. Emblema di questo tipo di scrittura è soprattutto il piccolo Richie, pre-adolescente complicato che non riesce in nessun modo a mandar giù la nuova vita della madre e scarica la sua tensione appiccando continuamente incendi - con conseguenze più e meno gravi a seconda delle situazioni. Possiamo dunque parlare di una favola contemporanea che vive di colori sgargianti e di trame fosche, come i suoi personaggi e le ambientazioni, fotografate da un Vittorio Storaro romantico e nostalgico.
Ogni inquadratura sembra dipinta da Edward Hopper, solo con più saturazione e contrasto; i toni accesi di Coney Island filtrano attraverso le finestre virando sul rosso quando è in scena la passione più ardente (positiva o negativa che sia), spostandosi sul blu quando vi sono da raccogliere le macerie di una tempesta appena sfuriata, mentre noi spettatori continuiamo il nostro giro di ruota osservando tutto dall'alto.

Eroi e antieroi di tutti i giorni

Nessuno spettacolo però potrebbe andare in scena senza attori dal giusto talento. Justin Timberlake incarna alcune peculiarità classiche del Woody Allen attore, nonostante una sicurezza e un pacato fascino quasi inediti; non c'è nulla di cattivo in Mickey, si fa guidare soltanto dalla sua grande curiosità, della sua voglia di scoprire il mondo e gli altri, non ha alcuna conformazione da doppiogiochista. Ancor meno complesso è Jim Belushi nei panni di Humpty, classico americano dell'epoca poco istruito che lavora sodo e pensa al bene dei figli, oltre ovviamente che a se stesso; l'attore indossa i suoi vestiti più grezzi per dare vita a un perfetto personaggio rustico, quasi primitivo, elemento di costante disturbo e fastidio. Sono però i personaggi femminili a dare a La Ruota delle Meraviglie un valore aggiunto. Juno Temple è aggraziata e minuta, ingenua al punto giusto e forte di una bellezza particolare, in grado di colpire a prima vista.

La sua sola sfortuna è muoversi all'ombra di una Kate Winslet statuaria, immensa nel ruolo di Ginny: è il personaggio con più colori fra tutti, conosce la disperazione, la noia, la passione, la rabbia cieca, il rimpianto e il desiderio e sa alla perfezione quando far prevalere uno di questi elementi sugli altri, a rotazione. La Winslet è davvero, insieme al premio Oscar Vittorio Storaro, il motore del film. Menzione particolare per Jack Gore, il piccolo e complessato Richie che ama dar fuoco a qualsiasi cosa, in ogni momento: è il vero outsider alleniano, il capro espiatorio di tutti i peccati della madre, del padre e del patrigno, in definitiva di una società sempre troppo occupata per occuparsi davvero di lui.
Una sorta di alter ego del piccolo Virgil Starkwell di Prendi i soldi e scappa, che non a caso era cresciuto a sua volta accanto a un chiassoso luna park e portava i capelli rossi come una maledizione. Come se lo stesso Woody Allen avesse fatto un giro di ruota e fosse tornato al punto di partenza, a quel suo primo film di successo del 1969.

La Ruota delle Meraviglie Woody Allen ci riporta indietro nel tempo, nella Coney Island degli anni '50, per raccontare una favola agrodolce che si avvicina più al dramma grottesco che alla commedia brillante. La cura riposta nella scrittura dei personaggi è tipicamente alleniana, allo stesso modo il profondo pessimismo degli eventi pennellato qua e là di battute geniali. Oltre la storia però, una pièce teatrale a tutti gli effetti, il vero valore aggiunto è rappresentato da un cast eccellente (con una Kate Winslet da premio) e da un Vittorio Storaro capace di trasformare ogni ripresa in un dipinto saturo di colori. Un'opera tanto delicata quanto amara che non dimenticherete facilmente.

7.5

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