Recensione La Ricerca della Felicità

Muccino e Smith per la prima volta insieme

Recensione La Ricerca della Felicità
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Quando il cinema parlava italiano

“L’ultimo Bacio” e “Ricordati di me”: entrambi molto apprezzati sia dal pubblico che dalla critica, entrambi scritti e diretti da Gabriele Muccino, noto regista italiano, famoso e stimato principalmente in suolo italico. Hollywood ha chiamato, il nostro Gabriele ha risposto, e l'ha fatto in grande stile: 100 milioni di dollari in poco più di due settimane presso i box office americani.

Se a quanto detto aggiungiamo che lo stesso Will Smith in persona ha espressamente richiesto la maestria del regista italiano come pegno per la sua partecipazione alla pellicola, non possiamo che essere fieri di vedere il cinema nostrano cercare di ritornare allo splendore di un tempo, e veder riconosciuto che, tutto sommato, non è poi tutto da buttare: qualcosa di buono sappiamo ancora realizzarlo, e questo qualcosa porta il nome di Muccino.

Un padre modello

San Francisco, anni '80. Chris Gardner (Will Smith) è un uomo dalle indubbie qualità, a cui la fortuna ha però voltato le spalle, soprattutto quando, dopo aver investito tutti i suoi averi nella produzione di macchine mediche sì all'avanguardia, ma troppo onerose, si ritrova squattrinato e sull'orlo del fallimento, non solo economico. Nel frattempo le bollette aumentano, lo stato reclama le tasse, il padrone di casa vuole l’affitto (ormai arretrato di 3 mesi), il comune gli confisca l’auto perché non ha pagato le multe...

Questa vita di stenti alla moglie di Chris proprio non va più. E, così, lascia Chris e suo figlio Christopher (Jaden Christopher Syre Smith) fuggendo a New York in cerca di fortuna. Quando un uomo ha già toccato il fondo, se le cose si mettono male, non gli resta che una cosa: scavare. Chris ha perso tutto: casa, auto e moglie, ma gli restano il figlioletto e tanta tanta determinazione.

Viste le premesse, le cose non potranno che peggiorare per il povero Chris, costretto a riposare nei dormitori e nei bagni pubblici pur di stare con il figlio, tenuto sempre con sè, con in mente un unico desiderio: renderlo felice, dimostrando al figlio chi è suo padre. Un incontro fortunato e il cubo di Rubik faranno il resto...

Ma l'Italia non è l'America

Come dicevamo, era dai tempi di Bertolucci che un regista italiano non sbancava i botteghini americani, in quella stessa Hollywood che ha visto fallire anche personaggi tra i più illustri: Gabriele Muccino non ha affatto fallito, anzi è stato l'artefice di questo ennesimo "miracolo italiano". Viste le premesse tutti noi italiani, una volta giunta la pellicola nel bel paese, ci siamo aspettati chissà quale capolavoro: il film è discreto, non potrebbe essere altrimenti, ma forse, e ribadiamo forse, ha un pochino deluso le aspettative di chi si aspettava dal bravo Gabriele il film "rivelazione" dell'anno. Così, infatti, non è stato.

Geniale sicuramente l’idea di far recitare Will Smith in compagnia di suo figlio: dalla pellicola traspare con chiarezza tutta la veridicità e la purezza dell’amore che lega i due, contribuendo a trasmettere un genere di affetto tutt'altro che "finto" e da copione. Questo legame, e le emozioni che questo trasmette, sono indubbiamente la cosa migliore di tutto il film. Degna di nota è anche la recitazione del piccolo Smith, vera ed unica rivelazione di tutta la pellicola: è divertente, simpatico, calato perfettamente (cosa, questa, che in effetti sarebbe probabilmente riuscita a chiunque, vista l'agevole situazione di partenza) nel ruolo del figlio... Degno allievo, nonchè degno figlio del “maestro” Will.

D'altra parte, però, il film è lento, la storia non prende quasi per nulla. Quella che ci viene mostrata è una realtà molto cruda e toccante, ma nonostante ciò il coinvolgimento dello spettatore non si rivela da antologia. Pur con un Will Smith in splendida forma, la pellicola non ci ha emozionati come ci saremmo aspettati da una storia del genere, se non negli ultimi 10 minuti, forse gli unici in grado di trafiggere anche i cuori più duri da scalfire.

Il film lascia un forte amaro in bocca, e quei 10 minuti grandiosi non bastano a colmare un'esperienza visiva che potremmo definire quasi "amorfa". La pellicola poteva essere sviluppata meglio, magari evitando di richiamare ancora una volta alla mente il tanto bramato, e pluritrattato, "sogno americano": far soldi, avere una casa, affermarsi economicamente. In fin dei conti il film non fa altro che mostrare quello spaccato della società americana dove si dà più valore al denaro che ad ogni altra cosa, visto più che altro come una panacea contro tutti i mali. Emblematica in tal senso la scena in cui Chris promette al figlioletto che sarà un buon padre, che lo renderà felice e che gli dimostrerà di che pasta è fatto, proprio diventando ricco: gli darà la vita e le cose che più desidera... Ma il figlio, quasi volendo mostrare al padre la "retta via", lo accarezza dicendogli "sei un buon padre", a dimostrazione del fatto che non è la ricchezza posseduta il metro di giudizio del valore di una persona. Ed è proprio il questo aspetto che abbiamo riconosciuto l'"italianità" del nostro Muccino, fino ad allora forse troppo immedesimato nella realtà americana, e per certi aspetti quasi irriconoscibile.

La ricerca della felicità Un gran Will Smith non può smorzare la delusione che resta dopo la visione del film. Si poteva fare di più. Magari negli USA questo può bastare, ma da noi, visto il nostro grandioso passato, questo genere di pellicola ha un sapore già sentito (non mancano i richiami, evitabilissimi, ai classici film della tradizione italiana). E' per questo deludente: le minestre riscaldate, seppur ottime, sono pur sempre riscaldate. Non basta.

6.5

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