Recensione La linea sottile

Nina Mimica e Paola Sangiovanni affrontano ne La linea sottile la tematica della violenza attuata e subita attraverso le testimonianze di un ex soldato coinvolto in una missione in Somalia e di una donna bosniaca.

Recensione La linea sottile
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Militare di leva all'operazione umanitaria dell'ONU in Somalia tra il 1992 e il 1994, l'oggi quarantenne Michele Patruno vive ancora il lento percorso della consapevolezza di quanto compiuto, testimone e protagonista - in quanto coinvolto nelle dinamiche del gruppo - delle violenze sui civili locali, le cui immagini continuano ad affacciarsi a tratti nella sua mente.
Sopravvissuta agli scempi della guerra nella ex Jugoslavia durante la prima metà degli anni Novanta, Bakira Hasecic è la prima donna bosniaca musulmana che, rotti nel 1993 il silenzio e i pregiudizi sociali, ha testimoniato davanti all'International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ITCY) e raccontato ai media la violenza sessuale subita nel corso del conflitto, tanto da rischiare più volte di essere uccisa.
Con il primo che ricorda come l'esercito affermasse subito la propria autorità ricorrendo a maniere forti e manganelli e la seconda che, memore degli stupri di massa e dei campi di gravidanza forzati usati come strumenti di pulizia etnica, continua a dare la caccia ai violentatori portando all'inefficiente e lento tribunale di Sarajevo le prove della loro presenza in territorio bosniaco per farli chiamare in giudizio, è su queste due storie di vita parallele che si costruisce La linea sottile, diretto a quattro mani dalla Paola Sangiovanni regista di Ragazze la vita trema e della Nina Mimica candidata al premio Oscar per il cortometraggio Open house, del 1996.

No alla violenza!

Del resto, patrocinati da Amnesty International Italia, nascono dall'esigenza tutta femminile di analizzare le atrocità commesse e coglierne i significati profondi e l'umana capacità di generare il male i circa ottanta minuti di visione in questione, oltretutto arricchiti da materiali d'archivio - in alcuni casi inediti - comprendenti perfino i "girati" prodotti in Somalia dal cameraman Miran Hrovatin, ucciso a Mogadiscio insieme alla giornalista Ilaria Alpi.
Senza contare le fotografie - in parte sue, in parte scattate dai propri commilitoni - provenienti dalla raccolta privata di Patruno, il quale, oltre a chiedersi come potesse mangiare all'epoca il panettone in mezzo a pezzi di persone in putrefazione, non solo precisa che tanti dei soldati allora coinvolti erano semplicemente di leva e non fecero alcuna carriera militare, ma ricorda anche di una tortura consistente nel lancio di un gavettone di acqua e sale contro individui cui venivano provocate lungo il corpo tante piccole ferite da taglio.
Tortura cui si aggiunge anche l'immagine di un prigioniero suppliziato ai testicoli in un campo militare italiano tramite l'utilizzo degli elettrodi di una radio portatile; mentre la Hasecic viaggia in automobile verso Visegrad - cittadina degli orrori e del genocidio taciuto - e cerca di esplicare la propria situazione emotiva, in bilico tra la sete di giustizia e di vendetta.
Ribadendo sia che tutte le donne si somigliano ma reagiscono diversamente, sia che colei che sopravvive agli stupri di guerra è consapevole del fatto che si tratti dell'umiliazione più grande, di una macchia che non va via.
Al servizio di un elaborato sufficientemente dinamico il cui riuscito compito, appunto, si rivela quello di trasformare in vere e proprie lezioni di vita le due differenti esperienze poste davanti all'obiettivo della camera di ripresa.

La linea sottile Un ex soldato italiano dell’operazione umanitaria dell’ONU in Somalia tra il 1992 e il 1994 che si sente oggi lontano dal parà che fu allora e una donna bosniaca sopravvissuta alle violenze della guerra nella ex Jugoslavia sono i protagonisti de La linea sottile, documentario che Nina Mimica e Paola Sangiovanni costruiscono alternando i loro crudi ricordi raccontati ad altrettanto crudo materiale visivo d’archivio. Offrendo un importante spunto di riflessione sulla violenza compiuta e subita, “i cui echi si percepiscono anche nella cultura del paese in pace nel quale viviamo”, come sostiene la seconda delle due registe.

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