Sotto la regia del napoletano classe 1964 Francesco Patierno, autore di Pater familias (2003) e Il mattino ha l'oro in bocca (2008), Diego Abatantuono aveva già interpretato Cose dell'altro mondo (2011), non troppo riuscita favola antirazzista in cui vestì i panni di un buontempone industriale del Nord Est d'Italia che si ritrovava con le gambe all'aria nel momento in cui gli immigrati venivano invitati a sloggiare per sempre dalla sua città.
In questo caso, su sceneggiatura derivata dall'omonimo romanzo di Federico Baccomo, scrittore anche del testo da cui venne tratto Studio illegale (2013) con Fabio Volo, non lo troviamo, però, nel ruolo di protagonista, bensì in quello di Patrizio Azzesi, antagonista cattivo di un Claudio Bisio impegnato a concedere anima e corpo al tutt'altro che positivo avvocato Umberto Dorloni: uno che ce l'ha fatta e che ormai non guarda più in faccia nessuno, in quanto per lui non esistono crisi, tasse e precarietà... almeno fino al momento in cui, a un passo dal trionfo, il suo mondo così perfetto inizia a sgretolarsi, tanto da portarlo, senza perdersi affatto, a ingaggiare una dura lotta sempre più frenetica e senza scrupoli finalizzata a riconquistare il proprio posto in vetta.
L'avvocato che è il Diavolo
E, mentre Margherita Buy fa da consorte a Dorloni, è una molto più nuda che convincente Jennipher Rodriguez a incarnare la moglie di Azzesi, nel corso di oltre un'ora e quaranta di visione volta a rispecchiare in maniera tragicomica la triste, degradata società italiana d'inizio terzo millennio, ormai in preda alla perdita dei valori e sempre più propensa a credere nel denaro.
Una società raccontata attraverso la messa in scena della Milano della gente che pensa di stare bene, man mano che viene dichiarato che lo stato di salute di una città si misura dai piccioni e che chiaro appare l'intento di ribadire l'importanza della famiglia in un mondo spietato e difficile.
Eppure, in mezzo a tradimenti, insidie ed inganni, se da un lato infastidiscono la visione diversi dialoghi dal contenuto volgare che si sarebbero potuti tranquillamente evitare (citiamo soltanto la frase "Le dittature sono come il sesso anale: basta ungere un po' e si spalancano le entrate"), dall'altro non si fatica ad avvertire la fiacchezza destinata a stritolare nella noia l'insieme.
Una fiacchezza capace di testimoniare soltanto che Patierno - il quale non gira affatto in maniera disprezzabile - farebbe meglio ad occuparsi di drammi su celluloide anziché di commedie, in quanto non sono sufficienti la simpatia di Bisio e qualche risata strappata dall'ex Terruncello dello schermo a salvare un ambizioso elaborato al cui interno risulta sprecato anche il valido cast di contorno, da Claudio Bigagli a Carlo Buccirosso, passando per Raul Cremona.
È vero che soltanto i furbi e gli spregiudicati sono in grado di raggiungere il successo? Prova a risponderci il napoletano Francesco Patierno, a tre anni da Cose dell’altro mondo (2011), tramite il suo quarto lungometraggio cinematografico, tratto dall’omonimo romanzo di Federico Baccomo. Un racconto della cinica Italia d’inizio XXI secolo che, con un ottimo Claudio Bisio protagonista e un sempre grande Diego Abatantuono a fargli da spalla cattiva, tenta di fondere sul grande schermo l’ironia e i dialoghi irriverenti di popolari serie televisive a stelle e strisce quali Mad men, Californication e Dexter. Ciò che ne viene fuori, però, altro non è che un mal dosato miscuglio di commedia e dramma destinato a strappare pochissime risate ed a risultare, di conseguenza, altamente fiacco... oltre che a tratti eccessivamente volgare.