Recensione La corazzata Potemkin

Torna in sala allo Spazio Oberdan di Milano, in versione restaurata, il capolavoro assoluto del maestro russo Sergej M. Ejzenstejn, film di propaganda e opera magna della Settima Arte.

Recensione La corazzata Potemkin
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Il nostro, si sa, è un Paese che fin troppo spesso si adagia sui luoghi comuni e, nel suo piccolo, anche il cinema stesso ne è coinvolto. In quanti infatti ricordano la frase, ormai entrata nell'immaginario collettivo, pronunciata dal ragionier Fantozzi "Per me... La corazzata Kotiomkin... è una cagata pazzesca!" ad una riunione aziendale? Per ovvi motivi non si è potuto utilizzare il titolo originale, ma il grande pubblico ha comunque associato l'epiteto a La corazzata Potemkin, comprendendo anche erroneamente il senso di quel passaggio del film di Luciano Salce. Il significato del messaggio, in quel contesto, stava infatti a significare sì una critica verso un certo intellettualismo ma al contempo anche verso l'italiano medio, abituato ad ignorare qualcosa che vada oltre il semplice e facile divertimento. Fatto sta che ormai per la stragrande maggioranza degli spettatori quella battuta è diventata una verità assoluta, tanto da pensare che il capolavoro di Sergei M. Eisenstein sia lungo almeno tre ore e sia davvero il corrispettivo di quel volgare epiteto. Per coloro che volessero invece scoprire la realtà dei fatti e farlo addirittura in sala, lo Spazio Oberdan di Milano propone, in occasione del 90°esimo anniversario dall'uscita, un omaggio con la versione restaurata, con tanto di accompagnamento musicale dal vivo, la sera del 18 luglio.

Morte ai tiranni!

Opera magna della Settima Arte, riflusso esagitato e potente di un cinema di propaganda che è divenuto Arte nella sua essenza più pura, diventando metro di paragone per le metodologie di montaggio e trovando omaggi e citazioni in opere più o meno contemporanee (in quanti sanno che la famosa scena della scalinata de Gli intoccabili deriva proprio da qui?). Ispirato a fatti realmente accaduti, in parte romanzati, che videro la genesi della rivoluzione Russa nel 1905, il film (muto, anche se questo dovrebbe essere ben noto a tutti) narra dell'equipaggio della corazzata che, in seguito a soprusi di ogni genere, decide di dare inizio ad una rivolta che, dopo la conquista dell'imbarcazione e la morte del loro leader, diventerà un esempio per l'intera popolazione. La reazione dei cosacchi dello zar è però immediata e molti innocenti, tra cui donne e bambini, perdono tragicamente la vita. In una calibrata e magniloquente ostentazione delle emozioni, che si sposta dallo sguardo di una madre che ha visto il figlio gravemente ferito durante la repressione dei soldati, all'iconica sequenza della carozzina che cade per metri e metri sulla scalinata di Odessa, La corazzata Potemkin vive di un'intensità drammatica che vuole raggiungere di petto il pubblico. Il tutto grazie ad una moltiplicazione dei punti di vista di persone qualunque, vittime al macello di una gestione politico - sociale prossima alla fine: in un'estrema carica di pathos, di sangue e violenza che non vengono celati ma anzi emergono in tutta la loro brutalità, il pubblico non può rimanere indifferente, trovandosi coinvolto in prima persona nelle vicende narrate. Il tutto in un montaggio frenetico che si sposta nella caoticità del momento su apparentemente insignificanti dettagli, garantendo un'invidiabile gestione del ritmo che ha fatto scuola. Diviso in cinque capitoli, il racconto si sviluppa in un eterno crescendo che, toccando vette artistiche di assoluta grandezza nella citata scena della scalinata, si protrae a carica tensiva nell'ultimo atto, nel quale la corazzata si ritrova ad affrontare in mare aperto la flotta dello zar. In quest'epica ideologica che, a dispetto delle false credenze, dura solo 75 minuti, il maestro sovietico impone nuove ossessioni stilistiche che segneranno il Cinema da lì a venire, e non soltanto quello sovietico.

La corazzata Potemkin Quando si parla de La corazzata Potemkin l'unico termine che si dovrebbe associare a pazzesco è quello di Capolavoro. Novant'anni e non sentirli per un'opera, che in Italia si porta ingiustamente dietro un'infelice nomea, che esprime grandezza da ogni fotogramma, definendo nuove strade maestre del montaggio e che, ponendosì anche come opera propagandistica, ha influenzato cineasti in ogni tempo e luogo. E se la drammatica, superba, sequenza della scalinata di Odessa rimane una delle scene più citate nel mondo del cinema, il film vive di altri momenti intensi e potenti che, ora come allora, hanno un sigificato ben più profondo dell'esaltante intensità emotiva.

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