Dal luglio del 1392 all'ottobre del 1897: tanto è durata la Dinastia Joseon in Corea e come ben risaputo dagli asianofili il cinema indigeno ha indagato più volte negli intrighi di palazzo in decine e decine di produzioni in costume. Alla copiosa lista, caratterizzata nella maggior parte delle occasioni da un'ottima ricostruzione storica e scenografica, si aggiunge nel 2012 anche La concubina, ultimo film dell'apprezzato regista Kim Dae-seung ambientato proprio nelle fasi iniziali di suddetto regno. La storia vede quali principali protagonisti un trio di personaggi legati da rapporti passionali non sempre reciproci: la bella aristocratica Hwa-yeon, il di lei amante di povere origini Kwon-yoo e il secondogenito della regina madre, il giovane Sung-won, che si è innamorato a prima vista della ragazza. Dopo una serie di eventi che ha diviso il destino di questo pericoloso menage a trois, la storia balza in avanti di cinque anni consegnando ogni rispettivo partecipante ad un ruolo assai diverso da quanto da essi desiderato.
Intrighi e vendette
Erotismo e dramma convivono magnificamente in questo solido affresco in costume, capace di restituire con una solida violenza emotiva i rapporti interpersonali tra i numerosi personaggi in gioco. Un'opera elegante che cattura sia per il suo magnetismo scenico, con scenografie e costumi che immergono completamente in una realtà antica e lontana, sia per la precisa disposizione degli eventi, capaci di infondere alla narrazione un continuo crescendo di tensione tra inaspettati tradimenti e intenti di vendetta lasciati covare fin troppo a lungo. Ecco così che la corte si trasforma in un vero e proprio campo di battaglia psicologica, a base di intrighi e segreti che rischiano di minare la salute fisica e mentale dei protagonisti, con madri e figli, ex-amanti o prima inseparabili confidenti che, assetati da un'opprimente sete di potere, perdono ogni sprazzo di umanità in una partita contro tutto e tutti in cui solo il più determinato e astuto sarà in grado di trionfare. La concubina (disponibile su Netflix) utilizza coscientemente il sesso, al centro di torride sequenze in diverse occasioni, quale macchina di conquista e appagamento, in una sorta di vera e propria scalata sociale dove l'amore diventa inesorabilmente un lontano e inappagabile miraggio. Kim Dae-seung non lesina in scene forti, con torture ed esecuzioni che, seppur lasciate fuori campo, provocano un senso di spaesante turbamento, adempiendo all'eleganza della messa in scena con inquadrature precise capaci di mettere ben in risalto il ruolo di momentanea superiorità dei contendenti, citando nello splendido finale anche il tema biblico de La Pietà.
Ha contorni shakespeariani questo racconto ambientato nei primi anni della Dinastia Joseon, raffinato ed intenso dramma in costume pregno di una palpabile tensione nelle due ore di visione dove, tra colpi di scena, segreti e tradimenti, si compie il destino dei numerosi partecipanti al gioco di potere avente luogo tra le mura di corte. La concubina convince sia dal lato visivo, impreziosito da un suadente e veemente erotismo, che da quello puramente emozionale, prendendo anche le giuste distanze dai numerosi personaggi nascondenti, chi più o chi meno, un lato oscuro destinato a deflagrare in una resa dei conti finale magneticamente diabolica.