La Casa sul Lago del Tempo, la recensione del film con Sandra Bullock

Viaggi nel tempo e nello spazio per un amore che forse non ha futuro: la recensione del film con Sandra Bullock e Keanu Reeves.

La Casa sul Lago del Tempo, la recensione del film con Sandra Bullock
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Ah, l'amore...

Parlare di sentimenti è sempre difficile. Perché abbiamo paura di mostrarli, di svilirli nel tentativo di farci capire, di assistere al loro lento, forse inesorabile, disfacimento. Però assistere ai sentimenti altrui è decisamente più semplice, e piace un po' a tutti. Lasciarsi trasportare dalle storie di chi non conosciamo, sempre ansiosi di ritrovarvi anche soltanto una piccola parte delle nostre, per sentirci un po' meno soli o magari per sorridere dell'ovvietà di ciò che ognuno di noi chiama "unico", lo si può fare con un libro, con una poesia, ma con un'immagine riesce molto più facile, e questo Hollywood lo sa. Non per niente, sin dagli albori del cinema è stato un continuo fioccare di pellicole incentrate sull'amore, in tutte le sue infinite declinazioni. Ma per quanti film si producano, esaurire l'argomento è impresa impossibile, specialmente se per svecchiare la già ampiamente collaudata formula dell' "e vissero felici e contenti" si fa uso di elementi un po' fuori dall'ordinario.

Uno strano non-incontro

Il che, nel caso della pellicola in questione, si traduce con la presenza di una particolarissima sfasatura nel tessuto spazio-temporale nel quale i nostri protagonisti si muovono. Uno spunto più adatto, a prima vista, ad un thriller futuristico piuttosto che ad una storia romantica, eppure è proprio con questo insolito inconveniente che dovranno fare i conti Kate e Alex, giovane medico al primo impiego lei, architetto talentuoso ma modesto lui. Tutto inizia con una lettera che Kate, al momento del trasloco, lascia nella buca delle lettere in attesa che il successivo inquilino della casa (il nostro architetto, per l'appunto) ne prenda possesso. Niente più di qualche formalità, ma sufficienti a incuriosire Alex: non c'è infatti alcuna traccia delle impronte di cane di cui parlava la ragazza, né tantomeno di uno scatolone in soffitta. La risposta perplessa di Alex non tarda ad arrivare, e comincia così un rapporto epistolare che, sulle prime, si mantiene su toni un tantino pungenti: il che è comprensibile, considerato che Alex sostiene di vivere nel 2004 e Kate esattamente due anni dopo... Ma dopo l'iniziale diffidenza, e superando con una nonchalance che per lo spettatore ha dell'incredibile il fatto di vivere a distanza di due anni, il rapporto tra i due evolverà presto in qualcosa che entrambi erano ben lontani dall'aspettarsi. Perché non solo né Kate né Alex non sono più dei ragazzini in cerca del batticuore, ma ambedue possiedono una personalità schiva e una spiccata sensibilità, che li porta ad assumere un atteggiamento riservato, quasi di distacco dal resto del mondo. Se a ciò si aggiunge il fatto che entrambi amano profondamente il proprio lavoro, e si dedicano ad esso anima e corpo, si intuisce quanto sia difficile che qualcosa, o qualcuno, scalfisca il perfetto equilibrio, un po' asettico a dire il vero, faticosamente conquistato. Ma quando due anime affini si incontrano, non c'è difesa razionale che tenga, e infatti Alex e Kate non ci metteranno molto a capire di non poter fare a meno l'uno dell'altra, nonostante il loro rapporto sia fatto unicamente di parole, e ad unirli ci sia soltanto la città, con i suoi edifici e le sue strade, testimone silenziosa di quei percorsi che, pur intersecandosi mille volte nello spazio, non potranno mai farlo nel tempo. A meno di non giocare un po' d'astuzia, dimenticandosi magari per qualche istante delle inesorabili leggi della fisica, e provando a credere che, per chi sa aspettare senza arrendersi alla disillusione, la felicità non sia poi così impossibile da raggiungere.

Come sprecare una buona idea

Remake leggermente riveduto e corretto del coreano Il Mare - uscito nel 1998 - La Casa sul Lago del Tempo ha senz'altro il pregio di voler portare una necessaria ventata di freschezza in un genere nel quale le innovazioni non sono propriamente all'ordine del giorno. E fino ad un certo punto bisogna dargli atto di aver centrato l'obiettivo: la relazione, struggente e delicata, ma non priva di spunti ironici, tra Kate e Alex, in bilico tra il bisogno, da sempre intrinseco nell'uomo, di sognare e nutrirsi delle proprie fantasie, e la necessità di concretezza contro la quale deve scontrarsi ogni rapporto, riesce a suscitare più di un'emozione. Complice anche un approfondimento psicologico dei personaggi ben tratteggiato, grazie a comprimari di ottimo livello, quali il sempre impeccabile Christopher Plummer nel ruolo del padre di Alex, architetto di successo ma genitore e marito fallito, problematico riferimento e metro di paragone per il figlio, e la bravissima Shohreh Aghdashloo, collega e poi confidente di Kate, emblema della donna forte ma che non abbandona la propria sensibilità, grazie alla quale la giovane dottoressa imparerà ad aprire il proprio cuore a sentimenti che credeva estranei alla propria interiorità. Interessante è anche lo snodo fondamentale intorno a cui si dipana tutta la vicenda, ovvero il valore dell'attesa, concepita non tanto come vuota speranza in un domani salvifico, quanto come auto-elargizione di una seconda possibilità, colta al momento giusto, magari anche dopo aver vacillato, e non essere caduti, sotto il peso di un futuro che non offriva alcuna prospettiva. Peccato che sia necessaria una cieca sospensione dell'incredulità non solo per passare sopra al fatto che nessuno si meravigli più del minimo sindacale del fatto che sia possibile comunicare con un abitante del passato/futuro, ma anche e soprattutto per ignorare completamente tutte le problematiche che una simile relazione apporterebbe al continuum spazio-temporale. Anche senza volersi addentrare nella spinosa questione dei paradossi, i buchi e le contraddizioni della sceneggiatura sono in certi casi troppo evidenti per poter essere ignorati, esplicitandosi non solo in una sequela di azioni assolutamente illogiche da parte dei protagonisti, ma soprattutto in un finale che, nella ricerca della melassa a tutti i costi, perde gran parte della poesia che si era costruita nel corso della narrazione, anche grazie ad una fotografia molto ispirata, nella quale l'architettura e i suoi significati svolgono un ruolo centrale, in particolar modo per quel che riguarda la casa sul lago, che con le sue superfici vetrate è emblema perfetto del bisogno di vedere, comunicare, far parte del mondo, sempre però protetti da una membrana, trasparente e sottile sì, ma comunque invalicabile.

La Casa sul Lago del Tempo In definitiva, i due protagonisti, patinati ma comunque ben compresi nel ruolo, svolgono diligentemente il compito di accompagnarci con discrezione in una vicenda dai contorni leggeri, che ha dalla sua una certa originalità, impreziosita tra l’altro dal parallelismo con Persuasione di Jane Austen. Peccato che il seppur bravo Alejandro Agresti, già apprezzato per il commovente Valentin, abbia commesso qualche leggerezza di troppo in fase di sceneggiatura, e che, soprattutto, abbia ceduto alla facile tentazione, sempre in agguato per questo tipo di produzioni, di realizzare un finale iperglicemico a tutti i costi, in netta contraddizione con quello che lo spirito del film aveva fatto fino all’ultimo presagire.

6.5

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