Recensione La Bella e la Bestia

Christophe Gans porta al cinema una nuova versione della classica fiaba

Recensione La Bella e la Bestia
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C'era una volta un ricco mercante, dedito al suo lavoro e alla sua famiglia, composta da ben sei figli, tre maschi e tre femmine, di indole diversa ma tutti ugualmente devoti al padre. Un grave imprevisto, tuttavia, si abbatté sull'impresa commerciale dell'uomo, che perse tutto e fu costretto a ritirarsi in campagna in preda alle ristrettezze economiche. Un giorno, di ritorno da un viaggio di affari, si perse e si ritrovò in un misterioso castello colmo di ricchezze, ma anche di solitudine, dimora di una Bestia senziente e guardinga che cambiò la vita sua e della sua famiglia ancor più di quanto non avesse potuto fare la disgraziata tempesta che portò i suoi bastimenti in fondo al mare...

Questo l'incipit del fantasy La Bella e la Bestia, ennesima versione cinematografica della celebre fiaba che da almeno trecento anni imperversa nell'Europa occidentale e che è entrata nell'immaginario moderno con la riduzione disneyana (come quasi tutte le favole, del resto) portata al cinema nel 1991 e tra i protagonisti dei Premi Oscar dell'anno successivo. Essendo vista come una favola tradizionalmente francese, il paese d'oltralpe le è da sempre molto affezionato, e non stupisce dunque una sua nuova traslazione al cinema, soprattutto in un periodo che ha visto un grande fiorire di versioni alternative (a volte teen, spesso dark, se non addirittura horrorifiche) delle favole classiche (da Biancaneve a Cappuccetto Rosso passando per Hansel e Gretel) contando inoltre il non troppo riuscito Beastly, del 2011.

Ti aspetterò ogni sera

Ma Christophe Gans, regista francese dallo spiccato gusto per il fantastico e gli adattamenti cinematografici (suoi il Crying Freeman tratto dall'omonimo manga di Ryoichi Ikegami e il primo Silent Hill del 2006, nonché il noto Il patto dei lupi) non si avventura in territori alternativi e, anzi, si rifà con forza alle versioni classiche della fiaba, in particolare a quella di Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, pur introducendo alcuni elementi fantasy originali tra cui la natura della maledizione della Bestia. Una visione classica ma al contempo moderna, dunque, che come tutte le vere fiabe impaurisce lo spettatore, ne favorisce l'empatia con i protagonisti della vicenda e la successiva catarsi delle sue fobie: un “viaggio” divertente ma che non manca di fornire una morale, alla fine.
Lo stile caratteristico di Gans è sempre presente, pur con accenni a Guillermo del Toro (che pure doveva dirigere una sua versione della favola) e al grandissimo Rob Reiner de La Storia Fantastica. Il regista francese sfrutta a dovere il potenziale a sua disposizione, ricreando un'atmosfera sempre credibile tramite effetti visivi di buon livello e un'ottima ricostruzione scenica tra costumi, scenografie e una fotografia piuttosto ispirati e d'effetto. Così, il risultato finale è migliore di tante produzioni analoghe americane più costose, e non è cosa da poco.
A questo poi aggiungiamo una sceneggiatura non impeccabile, forse, e più attenta al quadro generale che non alla storia d'amore che tutti si aspettano sia al centro degli eventi (una decina di minuti in più, a tal proposito, non avrebbero guastato) ma che riesce comunque a coinvolgere adeguatamente lo spettatore senza mostrare il fianco a grosse falle logiche, e un comparto attoriale assai piacevole, per quanto abbastanza anonimo al grande pubblico internazionale. Al di là di Vincent Cassel (qui nel duplice ruolo di Principe/Bestia) difatti, non ci sono altri nomi di richiamo nel cast, ad eccezione forse della bella ed assolutamente in parte Léa Seydoux, che in molti hanno conosciuto e cominciato ad apprezzare solo con il pluripremiato La vita di Adele.

La Bella e la Bestia Delicato e sottile in alcuni passaggi, avventuroso e intenso in altri: il film di Gans riesce ad essere rispettoso della fiaba originale e al contempo originale e significativo. Non rimarrà forse negli annali ma tra gli esperimenti moderni del genere conquista un posto di rilievo, e conferma una volta di più la disparità tra le potenzialità produttive dell'Italia e quelle di altri paesi europei affini ma ben più inclini a rischiare su prodotti cinematografici di genere che non siano unicamente commedie o drammi più o meno storici.

7

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