Recensione L'uomo che verrà

La recensione del film di Giorgio Diritti

Recensione L'uomo che verrà
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L'uomo che verrà rappresenta la strage di Marzabotto, uno dei tanti episodi di rastrellamento nazista avvenuti nel Settembre 1944 da parte delle SS in Italia.
Il non più debuttante Giorgio Diritti realizza un'opera densa con uno sguardo profondamente moralista, capace di unire insieme l'intensità del cordoglio alla viva testimonianza, facendo leva non tanto sulla mozione degli affetti quanto su una fredda commozione.

Pluripremiato nei nostri confini (a Roma, ignorato invece a Venezia) l'opera si dipana attraverso la di una famiglia contadina che vive alle pendici di Monte Sole, investigandone gli stati d'animo ed il grigiore quotidiano durante una guerra sempre più vicina. In un'Italia spaccata in due dalla linea gotica, siamo nello 1943 da principio, i contadini dell'entroterra romagnolo continuano la loro vita agreste pur sapendo delle circostanze funeste. La prima parte dunque scorre lentamente quale fosse un Albero degli zoccoli in temperie guerresche, come da tutti è stato rilevato. Certamente i tempi non sono quelli sincopati di cui ormai linguaggi televisivi e cinematografici sono saturi; gli intendimenti si spostano più sull'antropologico che altro, ma non co rigore scientifico, anzi ingenuo come quello della figlioletta che si diletta in bianche considerazioni, atte a tracciar lo stupore dinnanzi alle vigliaccate ed agli orrori, ma anche la meraviglia del mondo, del miracolo della vita, rappreso nella gravidanza della madre.
Lo spettatore è legato indissolubilmente agli occhi della bambina, descritta come una sorta di piccola divinità cresciuta pura dagli elementi, lontana della nefandezze umane. L'uso sapiente delle inquadrature introduce esponenzialmente il pericolo, dai campi lunghi dove l'uomo si affresca armoniosamente con la natura, ai campi sempre più stretti dove meno si vede il verde, dove più si vede la ruga di paura, dove meno si vede l'orrore diretto. E' una significativa operazione di linguaggio cinematografico, Pasolini avrebbe apprezzato la capacità letteraria di Diritti, quando inoltre con la perdita della voce della bambina e quella delle parole del padre, fa dell'orrore qualcosa di indicibile.

L’intensa moralità

Infine la grande metafora finale, la nascita del bambino coincide con la morte di quella nazista, ma anche e soprattutto dei 770 abitanti di Monte Sole giustiziati appunto dai tedeschi.
Sono scese convulse quelle girate da Diritti, che perdono del tutto la linearità. Ma è una convulsione senza sangue, solo di movimenti e di lacerazioni. La convulsione del momento ferale deve mantenere la sua funzionalità etica, e quando l'ufficiale tedesco sentenzia "siamo la nostra educazione", il regista ci spiega molto.
E' un ottimo mestierante Diritti, capace di scegliere volti estratti dalla ruralità italiana, poiché urgente è la necessità di trovare la giusta maniera di raffigurare l'arcaicità bucolica, della vita dei mezzadri perfettamente mescolati con la fermezza delle campagne, il senso diffuso dal collettivo della vita contadina, il rapporto viscerale con gli stimoli del corpo, dalla fame all'amore fino alla religione. E', come detto, un realismo antropologico, non tanto storico, aperto in una controllatissima purezza morale.
Non interessa a Diritti fabbricare degli eroi, ma trovare la giusta cifra poetica tra attori professionisti e non, tra pace e guerra, nella collettività, nel parlata autenticamente vernacolare.
E' un lavoro che fa bene questo, perchè ogni tanto, nella nostra società idolatrica ed iconica, è bene discostarsi un poco dalla plastica e dagli estetismi lustrati, per misurarsi con delle immagini sicuramente più potenti e più cinematografiche, nell'accezione artistica della parola che quasi sempre viene disattesa. Nessuna concessione allo spettacolo od alla revisione storica. E' un film che vorrebbe lasciare qualcosa, che intende vigilare e rinfocolare le coscienze puntando sulla necessità di comprendere, dalla parte delle vittime.

L'uomo che verrà Volendo risalire a dei modelli estetici si potrebbe citare il cinema di Ermanno Olmi o Mario Brenta. Ma in realtà Diritti persegue una sua propria poetica nel restituire, utilizzando attori professionisti e gente presa sul posto, la dura vita di quelle contrade rurali, le arcaiche dinamiche familiari, la fatica del lavorare la terra. I mezzadri, il passaggio delle stagioni. Colpisce, vedendo il film severo e toccante, al quale però non giova l'eccesso di musica, una certa pietas cristiana. L'uomo che verrà evocato dal titolo è certo il fratellino di Martina, ma anche, si direbbe, un novello Gesù bambino da sottrarre ai nuovi Erode. Un segno di speranza sui destini dell'umanità."

7.5

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