Recensione L'ultimo degli ingiusti

Un nuovo capitolo sull'imperdibile viaggio di Claude Lanzmann alla ricerca delle orribili verità della Shoah

Recensione L'ultimo degli ingiusti
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L'ottantenne documentarista Claude Lanzmann, giunto alla presentazione romana (una delle numerose tappe del suo piccolo ‘tour' italiano) del suo ultimo film (Le dernier des injustes - L'ultimo degli ingiusti, già presentato al 66° Festival di Cannes nel 2013 e ora distribuito in Italia da Andrea Cirla a partire dal 26 gennaio) visibilmente affaticato dall'età e dall'influenza sembra ciò nonostante conservare il brio e la passione che molti anni addietro lo portarono a intraprendere quel viaggio documentaristico dolente e faticoso poi tradottosi in Shoah, un documentario fiume di nove ore che a oggi resta uno dei lasciti audiovisivi (e non) più importanti mai creati sul tema della deportazione degli ebrei e della Shoah. Era il lontano 1975 quando Lanzmann giunse in Italia (più precisamente a Roma) per intervistare Benjamin Murmelstein, esiliato a Roma in quanto ultimo capo del Consiglio Ebraico di Theresienstadt detta Terezin, località situata nel cuore della Boemia e a circa 60 km da Praga che divenne (suo malgrado) ghetto modello, fulcro della propaganda nazista e luogo ispiratore della Soluzione Finale immaginata e perseguita dal Terzo Reich. Una località creata con il preciso intento mistificatorio di prospettare agli ebrei cure termali e serenità, inducendo gli stessi a dirigersi con le proprie gambe fin sulla soglia di quella che invece sarebbe diventata a tutti gli effetti l'anticamera dell'inferno: un ghetto popoloso nonché ottimo centro di smistamento, tappa temporanea per migliaia di ebrei prima della definitiva deportazione (e morte) nei campi di concentramento di Auschwitz. Per la tetra località di Theresienstadt passarono (loro malgrado) moltissime vite in procinto di essere spezzate, e di lì passò perfino la sorella preferita del celebre scrittore Franz Kafka, Ottla: la donna (allora cinquantenne) si offrì di accompagnare un gruppo di bambini destinati a Oriente, e invece finirono tutti insieme ad Auschwitz, dove la donna morì nel 1943. Fu proprio in quel ghetto ‘modello' che il rabbino Benjamin Murmelstein (protagonista di questo L'ultimo degli ingiusti) fu costretto a svolgere la propria missione di decano e responsabile della gestione degli ebrei nel ghetto, stretto tra le terribili direttive decretate della Gestapo da un lato e la responsabilità di migliaia di ebrei avviati a morte certa dall'altro.

La 'demolizione' di un uomo

A distanza di circa quarant'anni da quell'intervista (durata una settimana e divenuta fonte di numerose rivelazioni, verità mai raccontate prima da Murmelstein), incanutito ma ancora profondamente devoto alla sua ‘missione' Claude Lanzmann decide di rielaborare quel materiale per farlo fluire in un nuovo lavoro (di circa quattro ore) che prenderà il titolo de L'ultimo degli ingiusti, definizione con la quale lo stesso rabbino si autodefinisce parafrasando il capolavoro di André Schwarz-Bart, "L'ultimo dei giusti". È un salto temporale d'effetto quello che ci riporta a una Roma fine anni '70, a un Lanzmann di quarant'anni più giovane e alle parole forti, incisive di quel rabbino acuto e tagliente impegnato a rielaborare quel contatto col nazismo che lo ha poi portato ad essere additato e processato per ‘collaborazionismo' in seguito alla liberazione. In L'ultimo degli ingiusti quelle potenti immagini si mescolano alle immagini contemporanee di un Lanzmann evidentemente più attempato che ripercorre le orme degli ebrei deportati verso il ghetto di Terezin, rievocando gli orrori, le vicende e le tragedie che si consumarono su quella stessa terra. Decine di fogli volanti in mano sui quali sono segnati gli appunti di una vita, Lanzmann racconta (per la prima volta al pubblico) le parole ‘mai ascoltate' di Murmelstein, inclusa la sua profonda disapprovazione verso la conduzione del processo a Eichmann e la sua assoluta certezza del coinvolgimento di Eichmann nelle vicende della Notte dei cristalli così come la sua responsabilità nelle vicende legate al controverso organo di emigrazione degli ebrei. Murmelstein parla in fondo di quella che (ancor più) attraverso la Shoah di Lanzmann è stata definita l'irrapresentabilità della Shoah, manifesta la sua disapprovazione per la teoria arendtiana della banalità del male sottolineando come Eichmann (che Murmlstein ebbe modo di conoscere a fondo) fosse in realtà parte (ed egli stesso manovratore) di un sistema assai preciso e finemente organizzato facente parte della cosiddetta Soluzione Finale: la volontà nazista di deportare gli ebrei in un luogo remoto e isolato, meglio ancora un'isola, tant'è che inizialmente e prima della conquista da parte degli inglesi doveva essere il Madagascar il grande ghetto dove relegare la totalità degli ebrei. La voglia, la necessità di sapere come siano andate le cose e quale sia stato il ruolo di Murmlstein (assieme agli altri rabbini) in quel momento così buio della storia moderna, è ciò su cui riesce a far luce Lanzmann attraverso il suo racconto dettagliato, i primi piani fissi su un loquacissimo Murmlstein, il fumo di una sigaretta (quella dello stesso Lanzmann) sempre accesa sullo sfondo. C'è qualcosa di magico e potente in quella che appare una chiacchierata tra amici (che si chiude con una magnifica scena da cui fa capolino una Roma complice) ed è invece una testimonianza importantissima ed esemplare, un lascito di primaria importanza che Claude Lanzmann (attraverso il suo lavoro attraverso le parole del rabbino) ci consegna. Infine un lavoro che trascende la sua essenza artistica per essere qualcosa di molto più alto, un vero e proprio monito per l'umanità, per impedire che ancora una volta il Male (sia esso generato dalla trascinante mediocrità o dalla mefistofelica mente dell'uomo) non si ripresenti in una dimensione così inenarrabile, in quella 'demolizione' dell'uomo che anche Primo Levi descrisse con tragica lucidità.

Primo Levi, “Se questo è un uomo”

"Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla è più nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga."

L'ultimo degli ingiusti L’ultimo degli ingiusti entra a far parte di diritto insieme a Shoah di un lascito testimoniale al quale il documentarista Claude Lanzmann si è dedicato per una vita intera. Un’opera alla quale è impossibile dare un giudizio (se non simbolico) in quanto svolge un lavoro sociale e umanitario che trascende (in ogni caso e in tutti i sensi) il suo valore artistico, e di questo ‘dono’ (terribile e necessario) non possiamo far altro che essere riconoscenti.

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