Recensione L'ultima ruota del carro

L'eroe dei nostri tempi di Giovanni Veronesi

Recensione L'ultima ruota del carro
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Mento piuttosto pronunciato ed espressione profondamente simpatica, Ernesto Fioretti è uno di quei volti visti diverse volte, in particolar modo, nei film diretti da Carlo Verdone, da Gallo cedrone (1998) a Posti in piedi in paradiso (2012), passando per Io, loro e Lara (2009), ma di cui nessuno, con ogni probabilità, conosce il nome.
Una di quelle figure che sorge spontaneo definire con l’appellativo cinematografaro “generico”, ma che, in realtà, ha dietro di se una lunga e interessante storia che rispecchia, in fin dei conti, quella di tanti abitanti del Belpaese cresciuti a suon di sacrifici e attività professionali più o meno umili.
Una storia che Giovanni Veronesi - autore della trilogia Manuale d’amore - ha deciso di trasferire sul grande schermo attraverso una sceneggiatura scritta insieme a Ugo Chiti, Filippo Bologna e lo stesso Fioretti, a proposito del quale racconta: “Conoscevo da diversi anni Ernesto Fioretti, un autista di produzione romano poco più che sessantenne di cui, nel tempo, sono diventato amico, ma non avrei mai pensato che un giorno mi sarei ritrovato a raccontare in un film la sua vita più che movimentata. Tutto è nato quando un giorno, mentre uscivamo da un autogrill reduci da un pranzo non esaltante, Ernesto mi ha detto ‘Abbiamo mangiato peggio di quando facevo il cuoco d’asilo’...”. E io ‘In che senso? Raccontami’”.

Il piacere di chiamarsi Ernesto

Ed è ad Elio Germano che spetta il compito di incarnare quest’uomo semplice che, affiancato dalla moglie Angela alias Alessandra Mastronardi, tenta di seguire le proprie ambizioni, senza mai perdere, però, i valori veri della vita.
Un uomo destinato a passare dal mestiere di tappezziere, iniziato giovanissimo insieme al padre, a quello di cuoco d’asilo, ottenuto tramite raccomandazione; per poi diventare traslocatore, autista e comparsa del cinema, mentre il suo migliore amico Giacinto, cui concede anima e corpo un magistrale Ricky Memphis, cerca di coinvolgerlo nelle sue cene ed incontri a sostegno di politici o facoltosi uomini di potere, tramite i quali è convinto di arrivare alla ricchezza e di non rimanere l’ultima ruota del carro della società italiana.
Quell'ultima ruota del carro spesso rappresentata da tutti coloro che, proprio come Ernesto, possono definirsi gli onesti della nazione di cui Veronesi, riallacciandosi alla tradizione della grande Commedia all’italiana, esplora vizi e virtù raccontando su celluloide circa quarant’anni di storia.

Italian(s)

Infatti, si comincia nell’Ottobre del 1967 sulle note della sempreverde Let’s twist again di Chubby Checker, per poi passare al Maggio di dieci anni dopo e toccare il ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro e il già citato universo delle raccomandazioni al fine di ottenere il posto fisso di lavoro.
Man mano che, oltre ai comici Virginia Raffaele e Maurizio Battista, troviamo in scena anche la veterana Francesca d’Aloja e, nel ruolo di un pittore-scultore chiamato semplicemente Maestro, un Alessandro Haber come di consueto in preda alle sue inconfondibili esagerazioni.
Un Alessandro Haber che ci regala uno dei momenti più divertenti dell’operazione nel corso della telefonata che coinvolge Dalila Di Lazzaro e che non manca di affermare che la ricchezza, per elevarsi e non rimanere solo soldi, ha bisogno dell’arte.
Ma non mancano neppure il Campionato mondiale di calcio del 1982, gli anni del PSI e di Bettino Craxi, la malasanità e perfino un esilarante dialogo a tavola riguardante Silvio Berlusconi.
Tutti argomenti che, volti a condurre al Maggio 2013, Veronesi inscena senza fornire mai un vero e proprio approfondimento, in quanto i suoi reali interessi sono da un lato quello di concepire un prodotto infarcito nella maggior parte dei casi d’ironia e assolutamente non intento a prendersi troppo sul serio, dall’altro il tracciamento della fetta di storia tricolore che, appunto, ha soltanto fatto da contorno all’esistenza di Ernesto.
La fetta di storia tricolore che ha condotto a quell’enorme discarica di immondizia che è divenuta l’Italia d’inizio terzo millennio, simboleggiata in maniera affascinante da una delle ultime inquadrature del film, da ritenersi, senza dubbio, tra i migliori firmati dal regista di Che ne sarà di noi (2004) e Italians (2008).

L'ultima ruota del carro Quarant’anni di storia italiana raccontati attraverso la vera vita di Ernesto Ferretti, autista di produzione che non può fare a meno di rispecchiare il semplice, onesto abitante dello stivale tricolore. Abitante che Giovanni Veronesi trasforma in un eroe dei nostri tempi con le fattezze di un ottimo Elio Germano, spesso alle prese con i più o meno loschi uomini di potere italiani affamati di soldi molto facili e sporchi, ma che, probabilmente proprio per questo, finisce per non individuare nella ricchezza il vero valore dell’esistenza. Con la risultante di un agrodolce racconto su celluloide che non solo rientra tra i suoi più riusciti, ma appare decisamente superiore rispetto a tanti lavori di osannati colleghi del calibro di Paolo Virzì e Daniele Luchetti.

6.5

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