Recensione L'amore buio

Antonio Capuano ci racconta di nuovo la sua Napoli.

Recensione L'amore buio
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Classe 1940, il regista napoletano Antonio Capuano si è imposto come autore di un cinema scomodo fin dai tempi della sua opera d’esordio: quel Vito e gli altri che, incentrato sul percorso criminale intrapreso da un giovane figlio dell’assassino della propria madre e del fratello, vinse la Settimana della Critica presso la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel 1991. Un cinema scomodo, quello di Capuano, ambientato in una città partenopea semisconosciuta e in cui i corpi adolescenziali dei giovani protagonisti diventano i testimoni di una condizione di degrado vissuta con amara consapevolezza. Un cinema che, al di là di partecipazioni a film collettivi quali L’unico paese al mondo e I vesuviani, ha portato il regista a realizzare prima, nel 1996, Pianese Nunzio, 14 anni a maggio, ispirato a un fatto di cronaca riguardante il rapporto tra un sacerdote e un ragazzino frequentante la sua parrocchia sullo sfondo della camorra, poi, nel 2005, La guerra di Mario, il cui tema fu l’affido temporaneo.
Un cinema comprendente anche Bianco e nero alla ferrovia, documentario del 2007 che si è rivelato una ricerca antropologica e culturale sull’evoluzione multietnica di Piazza Garibaldi, tra i luoghi più conosciuti di Napoli, Polvere di Napoli, omaggio-parodia datato 1998 al classico L’oro di Napoli, e Giallo?, che filtrava l’inquietudine del vivere sociale attraverso la lente del noir e del thriller.

Il regista parla dei due protagonisti

Ciro l’ho cercato e trovato nelle scuole di periferia. Istituti professionali, dove i ragazzi dovrebbero imparare a diventare fotografi, cuochi, elettricisti. Irene nei licei della città. Specie in quelli classici. Ne ho visti e sentiti migliaia. La ricerca è durata un anno. Irene l’ho individuata abbastanza subito. Ciro no. Ho passato molte notti a pensare, guardare e riguardare gli ultimi provini. A tre giorni dall’inizio ho deciso. Una sola volta si sono incontrati sul set. Si sono ignorati. Lo sai ormai, che misurarsi con giovanissimi alla prima prova è una specie di salto nel vuoto. Lo fai ancora una volta. Ma hai sempre tenuto stretta Irene con la sinistra, mentre con l’altra stringevi Ciro. E viceversa. Attraverso di me, io lo so, l’ho visto, si sono toccati e tenuti insieme. Così vorrei fosse il film.

Ciro e gli altri

Quindi, un cinema che testimonia pienamente l’interesse da parte dell’autore per il capoluogo campano e per gli elaborati di celluloide d’impegno civile e che, dopo Luna rossa, rielaborazione in chiave camorristica del mito tragico di Oreste presentata in concorso a Venezia nel 2001, vede il ritorno del cineasta alla kermesse tricolore con L’amore buio, tratto da una storia raccontatagli proprio da uno dei ragazzini che si trovavano sul set del succitato Pianese Nunzio.
La storia del sedicenne Ciro, con le fattezze di Gabriele Agrio, il quale, violentata l’adolescente Irene alias Irene De Angelis insieme ad altri tre ragazzini alla fine di una domenica di sole, mare, tuffi e pizza, va la mattina dopo a denunciare sé e gli altri, con conseguente condanna per tutti a due anni di reclusione.
Il giusto punto di partenza per dare il via al progressivo, quasi involontario, irresistibile avvicinamento di due mondi opposti e diversi: quello di Ciro, dal lontano carcere di Nisida, e quello di Irene, che vive in una meravigliosa casa, insieme alla famiglia, in una delle zone belle della città.

E, con martellante musica a fare da colonna sonora, senza mostrare nulla lo stupro viene consumato già nel prologo della pellicola, sottotitolata nei momenti in cui i personaggi parlano in stretto dialetto napoletano e di cui Capuano osserva: “Quando ti appresti a realizzare un film, dopo averne tu stesso scritto soggetto e sceneggiatura, sai (ti illudi?) come metterci mano. Lo hai ascoltato, ne conosci la voce. Lo hai guardato, spiato, pesato. Dei personaggi riconosceresti in giro le facce, gli sguardi, gli occhi! Sai come trattarlo, da quali angoli guarda la vita, che luce vuole. Ecco, la luce. In questo progetto dovrebbe, per tutto il film avere, diciamo così, due facce. Quando racconta Ciro e il suo mondo: colorata, accesa, febbrile, quasi bruciata. Estrema. Quando invece c’è Irene e il suo mondo: pallida, pulita, fredda, quasi elegante. Sai che è agevole realizzare ciò, perché sul set Ciro e Irene si incontreranno, quanto forse i loro mondi. Mai. Questo è stato il preciso codice per tutti noi. Individuare, ognuno nel proprio campo, i segni dei due mondi, o meglio, le due facce. Quella proletaria, picaresca, di strada. E quella borghese, chiusa, privata, incomunicabile. Gli ambienti e gli abiti innanzitutto e l’attenzione a quando i segni di queste due realtà, sgretolassero o magari tendessero verso l’altra”.
Ed è infatti sul continuo confronto tra questi due opposti universi che vengono principalmente costruiti i circa 105 minuti di visione, i quali includo nel cast anche Valeria Golino e Anna Ammirati rispettivamente nei panni della psicologa del carcere e dell’analista di Irene; oltre al compianto Corso Salani, che interpreta invece il padre della ragazza.
L’insieme, però, che chiude sulle note di una Unreachable eyes di Toto Toralbo curiosamente e profondamente simile alla vecchia No face no name no number dei Traffic, non riesce quasi mai a coinvolgere, individuando il suo unico pregio nelle prove dei giovani attori, tra i quali, nel ruolo di Ricky, troviamo anche il Raffaele Vassallo visto nel recente Sul Mare di D’Alatri e che non poco ricorda Massimo Troisi.

L'amore buio Dopo Luna rossa, del 2001, il cineasta napoletano Antonio Capuano torna in concorso presso la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con L’amore buio, tratto dal vero racconto di un ragazzino che fu sul set del suo Pianese Nunzio, 14 anni a maggio. Il risultato, però, sostenuto unicamente dalla buona prova del cast, è un racconto per immagini piatto, noioso e che non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto da precedenti e più riusciti lungometraggi incentrati sui giovani sbandati del Sud Italia. Basterebbe citare i film di Marco Risi.

5.5

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