Recensione L'altra verità

La guerra in Iraq al centro dell'ultima indagine sociale firmata Ken Loach

Recensione L'altra verità
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Fine indagatore di quei sobborghi esistenziali generati perlopiù dall'industrializzazione, dal capitalismo e dal dio denaro, di realtà asfittiche dove la miseria economica va di pari passo con la miseria umana, Ken Loach è stato sempre, e più di ogni altro regista occidentale, interessato a portare alla luce i mali della società e l'identità umana dei 'deboli', aggrappati alla vita con le unghie o pronti a recidere il sottile filo che li lega a quest'ultima, ma quasi sempre dotati di forze umane estranee alla società degli agi. In questo suo ultimo film il regista britannico affronta un argomento per certi aspetti nuovo al suo cinema, incuneandosi tra la violenza e il sangue della guerra in Iraq, tramite la storia di due amici inseparabili che solo la guerra riuscirà, per breve tempo, a separare. Un nuovo affresco di valorose esistenze finite negli ingranaggi di un mondo ingiusto.

Finché morte (o guerra) non ci separi...

Frankie e Fergus sono amici da sempre. Da quando marinavano la scuola per andare a bere sidro sul traghetto del fiume Mersey. Anni dopo Frankie diventerà paracadutista, mentre Fergus un soldato delle forze speciali (SAS). Poi, nel settembre 2004, dopo il congedo, Fergus convincerà l'amico a lavorare nella sua squadra di contractor a Baghdad. Un modo per fare un po' di soldi (10mila euro al mese) scortando clienti privati in una terra bagnata dal sangue, seguendo un codice (l'Ordine 17 non più in vigore) che è pura anarchia armata e dove il rischio di morire è parte integrante del lavoro. E infatti nel settembre 2007 Frankie tornerà a casa privo di vita, corpo e volto irriconoscibili. La versione ufficiale è che il contractor sia morto sulla route irish, la strada considerata da molti come la più pericolosa al mondo, che collega l'aeroporto di Baghdad alla Zona Verde, ma l'amico Fergus, dilaniato dal rimorso per averlo coinvolto in quel mondo e dal dolore lacerante della perdita che condivide con la vedova dell'amico (Rachel), non crede a quella ‘facile' versione dei fatti. Intraprenderà perciò una sua personale indagine volta a scoprire la verità, che pian piano porterà alla luce gli interessi economici che regolano quella roulette russa di vite umane e che acuirà in Fergus un senso ultimo di impossibilità a riconciliarsi con (quel)la vita, dimostrando ancora una volta quanto la guerra uccida le anime delle persone quanto e più dei loro corpi.


Loach is Loach

Negli anni Loach (già nel 1966 faceva scalpore con il deflagrante dramma famigliare di Cathy Come Home) ci ha accompagnati per mano attraverso i prati armati della ribellione irlandese (Il vento che accarezza l'erba), o la sordida periferia di Glasgow testimone di adolescenze ‘rubate' (Sweet Sixteen), più recentemente anche nei meandri della grigia vita, poi rifiorita, del 'visionario' postino Eric (Il mio amico Eric) e in tanti altri luoghi di umana fragilità, con una incredibile profondità di sguardo e una rara capacità di portare alla luce le problematiche endemiche, sociali ed interiori dell'uomo. In Un'altra verità Loach parla apertamente della guerra in Iraq, ma senza mostrarne gli orrori reali, e infatti il sangue, quasi in conformità con il pensiero dei suoi protagonisti "niente sangue, niente peccato" rimane sempre fuori campo, e di quella guerra spietata vediamo solo le immagini confuse catturate da un cellulare. Ciò che emerge invece con sempre più urgenza/violenza è la morte interiore che gli orrori della guerra provocano in chi è, volente o nolente, costretto a prenderne parte, in qualità di carnefice o di vittima. L'insano meccanismo secondo cui una guerra è generata e deve sottostare alle leggi di mercato quanto e più di ogni altra cosa, proiettando fiumi e fiumi di persone in un cinismo umano da cui è impossibile uscire, e che crea un inquietante fil rouge con le altre catastrofi a richiamo economico, legando a doppio filo l'indifferenza di questi ‘commercianti di morte' che frequentano i lussuosi circoli del golf a spese di quelle tante vittime, con le risate che ancora riecheggiano nelle nostre menti di gente capace di gioire di fronte alla distruzione di un terremoto. Sceneggiato dal fido Paul Laverty L'altra verità scava a fondo nella psicologia del bene (amicizia, solidarietà, affetto, amore) e in quella del male (morte, rimorso, sete di vendetta, pazzia) individuandone punti d'incontro e di rottura attraverso il protagonista Fergus (Mark Womack) e la coprotagonista Rachel (Andrea Lowe), entrambi alla prima prova per il grande schermo eppure straordinariamente intensi. E il crescendo di violenza che trasformerà Fergus in una macchina da vendetta incapace di altro, oramai incapace perfino di amare la donna da sempre desiderata, è in realtà il modo più eloquente per spiegare esternamente cosa accade a un'anima martoriata nel suo interno. È una violenta lotta interiore che, incapace di restare nei confini del corpo, trabocca all'esterno, preannunciando la fine di quell'esistenza cosi com'era un tempo, prima che la guerra la corrompesse.

L'altra verità Forse non il miglior film di Loach, ma di certo un altro dei suoi notevoli affreschi sul tema della disperazione umana, in cui si distingue il tocco a un tempo serio e indulgente precipuo del regista britannico frammisto a un’atmosfera da pseudo-thriller che esula un po' dalla sua consueta cifra stilistica. Una commistione di generi che avevamo già apprezzato in Il mio amico Eric, e che qui, pur confinata al genere dramma, inscrive il discorso intimista in una cornice a tratti 'avvincente', che permetterà forse al film di catturare un pubblico addirittura più vasto di quello costituito degli intramontabili aficionados di Loach.

7.5

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